Gli australiani
Turtle Skull interpretano la psichedelia rock come un viaggio onirico, rarefatto ed affascinante nel profondo della spiritualità umana e nelle sue connessioni con il mondo della natura. Sottolineano come il loro continente sia strettamente legato alla tradizione aborigena, ad una sorta di culto sciamanico degli spiriti dell'ecosistema rimasto pressochè inalterato nel corso dei millenni. Ed è proprio a tali radici culturali secolari che ispirano il loro sound, che definiscono come "flower doom". Dove "flower" si riferisce ai passaggi più progressivi e soprattutto all'impostazione vocale, costantemente gentile e carezzevole, mentre "doom" è connotato al mood ombroso ed alle trame più rocciose ed intense che caratterizzano gli otto lunghi brani di questo "
Monoliths".
Passaggi spaziali floydiani ed esplosioni catartiche, vocals carezzevoli e cantilenanti, lunghi solismi cosmici alla maniera degli Earthless, atmosfera fortemente psych alimentata dall'uso di sintetizzatori, gli otto brani si sviluppano in maniera articolata secondo tali direttive. Se l'iniziale "
Leaves" pare un connubio tra i Pink Floyd di "Obscured by clouds" e qualcosa di molto vicino al modernismo sludge, con passaggi narcotici e soffusi che si trasformano in un passo heavy pesante e slabbrato, l'estesa jam-song strumentale "
The clock strikes forever" è molto più vicina al moderno stoner psichedelico, sul genere dei Wo Fat, con la sua solenne atmosfera da space-drama e da trip cosmico.
Il resto si pone tra questi due estremi con buona proprietà di variazioni, vedi la dolce e lisergica "
Rabbit" che ricorda tanto i Dead Meadow o le spirali acide e massicce di "Heartless machine", che evocano il revivalismo seventies di gente come Uncle Acid and the Deadbeats o King Gizzard and the Lizard Wizard. La band aussie possiede buon tiro, densità e spirito jammistico, aprendosi a lunghe dissertazioni neo-psych di buon livello ("
Who do you ask?","
Who cares what you think?") infuse di energia e richiami allo psycho-pop dei bei tempi antichi. Non a tutti piacerà la combinazione di vocals romantico-progressive ed elementi heavy-psych che a tratti ricordano gli Intronaut, gli Abrahma, i Kal-El, ma non si può negare che abbia una fluidità immersiva di tutto rispetto. Se ci aggiungiamo anche il misticismo lunare ed "open-mind" di pezzi come "
Halcyon" e "
Apple of your eye", pura magia emozionale da overdose di LSD con ampio respiro da deserto australiano, dobbiamo convenire con la stampa musicale locale che recentemente ha inserito i
Turtle Skull tra le migliori bands emergenti del continente australe. In effetti, per esperienza personale, da quelle parti è difficile che saltino fuori pacchi clamorosi. Molto più facile il contrario.
Un album da gustare con calma ed attenzione. In certi frangenti potrebbe risultare troppo "morbido" e onirico per i fans dello stoner-doom e della psichedelia "dura" e troppo heavy e groovy per i nostalgici del psycho-prog '70, ma alla fine potrebbe anche accontentare tutti. Ottima prova per una formazione originale e di buon livello internazionale.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?