Le recenti ristampe della sua vecchia discografia e i recuperi "storici" attuati dalla MTM avevano alimentato non poco la speranza di un suo ritorno in forma inedita e finalmente ecco che l’auspicio si concretizza: "Runway to the gods" è il parto nuovo di zecca di Zeno Roth, un artista il cui valore straordinario è stato compreso appieno fino ad oggi probabilmente solo dal pubblico nipponico, da sempre molto benevolo con la musica generata dal fratello minore del famoso ex Scorpions Uli John.
La prima cosa da rilevare è un avvicendamento nella gestione del microfono, oggi responsabilità dell’ex Jaded Heart Michael Bormann, il quale, grazie ad una voce stentorea e vibrante, sostituisce egregiamente il suo predecessore Michael Flexig e riesce a non sfigurare neanche nel confronto con un certo Tommy Heart, in passato ospite saltuario dei dischi del polistrumentista suo connazionale.
"Runway to the gods" è ancora una volta un ottimo lavoro all’insegna di un hard rock melodicamente superiore, enfatico e contraddistinto come di consueto da un pizzico di gusto musicale tutto mitteleuropeo, ma è evidente che chi ha apprezzato Zeno ai suoi esordi non possa che rilevare un irrobustimento generale del suono e anche una certa attrazione per i "neoclassicismi metallici", che avvicinano la band teutonica (allo stato attuale ridotta ad un duo), oltre che ai soliti Fair Warning (che ricordiamo essere praticamente nati come costola degli Zeno), anche ai Rainbow e perché no, al migliore Malmsteen.
I due brani strumentali, "Sogno Di Angelo" (omaggio al compositore italiano Mascagni) e "Sunset birds flying home (Celestial touchdown)", rappresentano gli esempi più evidenti dell’ultima situazione descritta, ma anche altrove si manifestano squarci di questa particolare attitudine, che riesce però, per merito fondamentale di una considerevole sensibilità, a sorvolare il cumulo massificante dei guitar-heroes affetti da egocentrismo e "onanismo" specialistico.
Il pezzo d’apertura "Fanfares of love" è un buon prototipo di perizia strumentale sopraffina che non sacrifica l’anima della composizione, ma personalmente l’effetto "entusiasmo" mi ha aggredito nelle tracce denominate "Climb the sky", "Land of illusion", "Shades of blue", "Runway to the gods" (sontuosa!), "Refugees (longing for paradise)" e "Purify (Pilgrims of remembrance)", dove la melodia prende il sopravvento e i tentacoli della classe e dell’eleganza (anche vigorosa) catturano in modo analogo ai "tempi belli".
Completano il programma "I feel - I live" un bel numero di granitico hard-rock piuttosto "classico" e "Do you feel the time", una piacevole ballata che sottolinea la differenza tra un cantante occasionale (un pur decente Zeno impegnato nelle strofe) e un vocalist esperto e capace (un espressivo Bormann all’opera nel refrain e nei cori), destando qualche dubbio in merito alla necessità di una scelta di questo tipo (della serie ad ognuno il suo mestiere, please!).
Il bilancio conclusivo parla di un album egregio, ma se è vero che dai migliori si pretende il meglio, non sarei completamente sincero se non ammettessi di aspettarmi qualcosa di più da un ritorno così atteso, non aiutato peraltro da una produzione e da una registrazione di buon livello ma non abbastanza "esplosive" da contribuire in modo significativo, per quanto di loro competenza, al risultato finale.
Ah, dimenticavo … carina l’idea di dividere i brani tra "side 1" e "side 2", ricordando la stagione di gloria del caro, vecchio e, per certi versi rimpianto, vinile.
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