Il nuovo disco de
Il Tusco arriva un po’ a sorpresa, mentre non stupisce per nulla che si tratti dell’ennesima collezione di potenti vibrazioni sonore, in cui
hard-rock,
blues,
soul,
prog e canzone d’autore diventano semplici definizioni di comodo in cui contenere (a stento) un’irrefrenabile necessità di esprimersi, di suonare, di farlo assieme, emozionandosi ed emozionando chi avrà la voglia di condividere il risultato di tale magica comunione d’intenti.
Registrato a giugno 2020, quando
Diego Tuscano e i suoi
pards si ritrovano “fisicamente” dopo quattro mesi di segregazione dovuta al Covid-19, “
Abbandonare la città” trasmette un’incredibile sete di libertà, nella convinzione che la pandemia lascerà segni profondi in un mondo già pieno di storture, attenuabili, in qualche modo, proprio grazie al potere taumaturgico della musica.
Un approccio alla materia molto
sixties/seventies, se vogliamo, ma qui abbiamo sicuramente a che fare con dei “sognatori” con i piedi ben piantati nel presente, capaci di vivere la realtà del loro tempo senza moleste e artificiose nostalgie.
Lo testimoniano i testi in italiano, al tempo stesso schietti, poetici, irriverenti e privi di soverchie banalità, e lo conferma un tracciato sonoro in cui energia, malinconia e tensione espressiva si combinano avvinghiando l’astante in maniera vitale e intensa.
La voce di
Diego, intrisa come sempre di suadenti facoltà empatiche, interloquisce direttamente con l’anima degli appassionati del genere e al resto provvedono il basso guizzante di
AleAlle, il battito costante dei tamburi di
Gianluca Chamonal e la chitarra di
Erik Noro, il cui stile incisivo e adescante contribuisce in maniera importante all’efficacia di queste otto pregevoli composizioni.
Ed eccoci, dunque, a commentare nel dettaglio il contenuto dell’albo, a quelle che per una volta possiamo chiamare “canzoni” onorando il significato più nobile di tale nomenclatura, partendo da “
L’ultimo film porno” che apre la scaletta conquistando con il suo
riff concentrico e la linea melodica “a presa rapida”.
La
title-track dell’opera ammalia con il suo pastoso andamento
rock-blues e se la successiva “
Dolce sorriso” è un gioiellino sonoro madido di pulsante orecchiabilità, “
Strada contromano” si staglia dal programma nelle vesti di riflessiva ballata crepuscolare, a cui
Tuscano affida tutta la sua ben nota sensibilità interpretativa.
Le avvolgenti e mutevoli atmosfere di “
Animaccia mia” arricchiscono un ascolto che prosegue con la sagace ironia di “
Mostro”, il fascino irresistibile della grintosa e liquida “
Dosi omeopatiche” e si conclude con “
Il trionfo di Hobbes – Nel giardino di Voltaire c’è solo erbacce”, una sorta di
psych-jazz-blues di notevole suggestione.
In un panorama musicale ricco di sterili intellettualismi, di tanti esercizi di stile perpetrati da gente che ripete “a memoria” la
Grande Lezione del Rock, c’è ancora chi, per fortuna, certe cose le fa con la “pancia” e con il “cuore”, oltre che con la “testa”, lontano dai clamori e fomentato da una viscerale e autentica passione … uno di questi è certamente
Il Tusco e a noi non rimane che gioirne e supportarlo come merita.