"Samanōn", esordio discografico degli austriaci
Gjoad, rilasciato dalla sempre interessante
Antiqrecords, non è un album metal.
Lo dico subito in modo che chi non avesse tempo da perdere non lo perda.
Io, invece, non solo ho tempo (poco in verità), ma lo uso molto volentieri per uscite come questa.
"Samanōn" è un album quasi interamente strumentale, ispirato ai paesaggi montani della madre patria del gruppo, dal sapore sciamanico, ricco di suggestioni e, soprattutto, affascinante in ogni sua nota.
Se conoscete la magia delle fughe post rock alla Mogwai o, per rendere omaggio al nostro paese, dei Giardini di Mirò, avrete una idea piuttosto precisa di quello che ci offrono gli austriaci.
Le chitarre, ora tenui, ora fragorose, ti aprono la mente su paesaggi sconfinati che ammaliano per la loro bellezza e rilassano per il loro "sapore" autunnale, come se un pittore adoperasse solo colori sfocati per dipingere la sua tela mentre fuori piove e spira un vento leggero.
Il terzetto scrive musica che sembra proteggerti come farebbe una accogliente foresta, intesse melodie che vengono da lontano e che ti invitano a viaggiare alla ricerca di te stesso o di quello che hai perso:
"Samanōn" è un vero e proprio viaggio che vi metterà in contatto con la parte più profonda di voi stessi sfruttando immagini, suoni, folklore, elettricità, arpeggi e, a volte, l'oscurità.
Immagino che un album del genere possa essere apprezzato da chi ama i sogni e da chi crede che il rock, indipendentemente dalla sua "forma", sia qualcosa in grado di emozionare anche senza urlare la sua forza che, in ogni caso, esplode, possente, tra le note dei cinque brani che compongono questa gemma di pura bellezza sonora.
Ad occhi chiusi di fronte ad un falò: la magia sarà completa.
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