Adesso vi racconto la storia di un disco uscito sottovoce, solo in digitale e realizzato in maniera indipendente, al cui interno esiste un universo di magia e bravura.
Sto parlando del secondo album solista di
Claudio Pietronik, chitarrista conosciuto ai più come ascia (e mente brillante) dietro gli
Ancient Bards, affermatissima realtà power/symphonic tutta italiana. Claudio, in realtà, è un artista molto più sfaccettato, e questa gemma che gira nelle mie cuffie ne è la prova.
"
Ad Astra" è la dimostrazione non solo del virtuosismo di Claudio, veramente fluido e (alla mie orecchie) figlio di Vai in primis, ma anche di un'attitudine curiosa e inclusiva, che lo porta spesso nei territori della fusion, o dalle parti del Marty Friedman solista dei primi albums, che per chi vi scrive sono piatti prelibatissimi.
I brani in questo album sono basati su una strumentazione interamente digitale, totalmente programmata da Claudio, che solitamente predilige scenari sci-fi futuristici, non necessariamente metal, per stendere i tappeti sonori dietro le sue meravigliose incursioni chitarristiche. E, si badi, non parliamo di gara di velocità con se stessi, ché il buon Pietronik potrebbe gareggiare e vincere praticamente con chiunque; qui parliamo di un universo melodico/esecutivo strabiliante, molto più ampio e sfaccettato rispetto a molti colleghi più famosi e blasonati, che vi darà modo di fruire di 46 minuti di godimento chitarristico puro, pulito, stra-meritevole di attenzione, sbalordimento, meraviglia.
Masterizzato da
Simone Mularoni ai
Domination Studios, al momento "
Ad Astra" è fuori solo in versione digitale, su tutte le maggiori piattaforme. Un consiglio: recuperatelo, ascoltatelo, godetevelo. Questo è un piccolo gioiello di musica strumentale, da parte di uno dei chitarristi italiani più sorprendenti degli ultimi lustri.
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