I romani
Fenisia pubblicano il loro terzo full-lenght, dopo i precedenti "Lucifer" (2012) e "Fenisia cafè" (2015). La band propone un moderno hard'n'heavy asciutto e dinamico, munito di buona energia e decisione, una sorta di ponte tra il metal ottantiano più classico e l'interpretazione rocciosa contemporanea. Ad esempio, un brano come "
Sky oracle" sembra tratto da un album di Ozzy solista ma suonato dai Red Fang. La parte vocale ed il ritornello sono accattivanti e memorizzabili, mentre la parte strumentale si presenta solida e serrata. Buon mix, buon pezzo.
Il disco racconta l'indagine che un fantomatico giornalista (Lord Lumieres) porta avanti nei confronti di un misterioso culto (Sky Oracle), il cui leader millanta di essere in contatto con entità extraterrestri pronte a salvare gli adepti dall'Apocalisse. In realtà il concept giallo-fantascientifico ideato dalla band è un pretesto per parlare di fanatismo religioso, di manipolazione dell'informazione, di strategie cospirative e della forza soggiogante del pensiero unico ed omologato. Tematiche certamente non nuove, ma assolutamente attuali visto il periodo storico che stiamo vivendo.
Ci sono episodi incisivi, come l'impetuosa e classic-metal "
Lord Lumieres" o il southern-hard "
Eternal cult" che profuma di rock americano lontano un miglio, nei quali la personalità dei capitolini emerge in maniera più limpida. Tiro deciso, grinta hard e potenza heavy, buona cura del songwriting e dell'accessibilità melodica. In altri casi il risultato è meno brillante, vuoi perchè l'influenza Osbourn-iana appare troppo marcata perfino nell'impostazione vocale ("
Manifesto") oppure perchè l'episodio manca un pò di slancio e di freschezza (la ballad in crescendo "
Burned in my brain").
Meglio i chitarroni iper-saturi alla Zakk Wylde ("
Wizard of the world", "
Conspiracy rules"), abbinati a ritmiche battenti e ad un cantato sempre accessibile e gradevole. Quello che i
Fenisia sembrano riuscire a fare con maggiore convinzione. L'album si chiude con una poderosa cover metallica dell'hit di Lenny Kravitz "
Are you gonna go my way", resa decisamente più dura e sferragliante dai nostri quattro connazionali.
Prova più che sufficiente, con qualche piccolo calo di tensione. Piace l'attitudine tradizionale e stradaiola, il gusto nella composizione delle canzoni, l'esecuzione diretta e senza troppi fronzoli. Rimane da limare qualcosa di derivativo, ma siamo sulla strada giusta.
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