E’ opinione diffusa che i gruppi che si dedicano al
roots-rock (una definizione che mi piace molto di più che
retro-rock o
vintage- rock), anche i migliori, alla fine latitino in fatto di personalità, fatalmente assoggettati alla storia di questa favolosa forma artistica.
Una convinzione non di rado motivata dai fatti, a cui i
Witchwood si oppongono in virtù di una cultura e di un’attitudine straordinarie, già emerse nei precedenti discografici della
band (“
Litanies from the woods” e “
Handful of stars”, senza dimenticare i prodromi di "
From the solitary woods" dei Buttered Bacon Biscuits, antefatto all’attuale incarnazione dei nostri) e oggi confermate nel nuovo “
Before the winter” licenziato ancora una volta dall’eccellente
Jolly Roger Records.
L’esplorazione sonora inscenata dai faentini prende il largo alimentata da evidenti e solidissime basi “tradizionali” e da qui si spiega verso porti abbastanza variegati, magari non esattamente “sconosciuti” e tuttavia abbastanza sorprendenti per la maniera in cui scenari familiari acquisiscono una considerevole vitalità grazie ad un’innata capacità nel “reinventare” il genere evitando di stravolgerlo.
Uriah Heep, Deep Purple, Leaf Hound, Jethro Tull e Atomic Rooster, ma anche la grande scuola del
prog italico anni ’70, sono influenze certamente riconoscibili all’interno dei solchi di un albo in cui però non si ha mai la sensazione di essere di fronte ad una sterile riproduzione della leggendaria scena musicale del 1968/69.
I
Witchwood dimostrano come si possa essere credibili ed emozionanti suonando
hard-rock “classico” anche nel 2020, lasciando fluire liberamente istinto e passionalità, non preoccupandosi minimamente se la propria formula espositiva è o non è istigata dalla (spesso formale) sperimentazione.
Così, se “
Anthem for a child” e “
A taste of winter” hanno il fascinoso andamento epico di Warhorse, Uriah Heep e Jethro Tull, la cosa appare del tutto “naturale” e assai coinvolgente, almeno quanto appare logico e piacevole, nelle note lascive di “
Feelin'”, vedere aggregarsi alla nobile compagnia le effigi di Trapeze e Hard Stuff.
“
A crimson moon” si avventura con spiccata efficacia emozionale in meandri spirituali ed elegiaci (che piaceranno anche agli estimatori di Opeth e Witchcraft), “
Hesperus” squarcia il sortilegio con vibranti e avvolgenti sussulti di
prog-hard-blues e “
No reason to cry” tratta con devozione (forse fin leggermente eccessiva) l’immarcescibile lezione dei Deep Purple.
Le atmosfere cinematografiche di “
Nasrid” (impreziosite dai vocalizzi del soprano
Natascia Placci) aggiungono un suggestivo diversivo al
mood del programma, mentre tocca alle venature
southern di ”
Crazy little lover” e alla visionaria “
Slow colours of shade” riprendere il “filo” di un discorso espressivo che continua a profondere inesauribili contenuti.
Ai sostenitori del vinile, infine, è dedicato l’
addendum “
Child star”,
remake dei Tyrannosaurus Rex che “strapazza” lo
psych-folk e il
glam attuando una deliziosa operazione di sintesi tra favola, elettricità e sbuffi gassosi.
Coordinato dalla voce evocativa di
Riccardo "Ricky" Dal Pane e dalla fremente chitarra di A
ntonino "Woody" Stella, il
sound di “
Before the winter”, mirabilmente increspato dall’
Hammond di
Stefano "Steve" Olivi, impreziosito dal flauto di
Samuele "Sam" Tesori e sostenuto dalle ritmiche incisive di
Andrea "Andy" Palli e
Luca "Celo" Celotti, pulsa di vivida tensione emotiva e si propone come il risultato di una potente sinergia tra anime affini, collettivamente denominate
Witchwood e per cui il termine “antico” non è per nulla sinonimo di “antiquato”.