Gli austriaci Edenbridge sono una delle tante bands nate qualche anno fa dal successo della formula artistica adottata dai Nightwish (vedi, classic metal sinfonico e melodico con fanciulla avvenente dietro il microfono) ma, a differenza di tante altre realtà cadute presto nell’oblio, sono riusciti a restare a galla e a giungere, con “grand design” al quinto disco in sei anni, un risultato mica male se si pensa alla situazione di pesante saturazione dell’odierno mercato discografico.
Il sottoscritto, meglio chiarirlo subito, questa band non l’ha mai particolarmente amata: ho sempre dato un ascolto distratto e annoiato ad ogni loro nuova uscita, e ho sempre pensato che alla fin della fiera di Nightwish ce ne fossero già abbastanza…
Ricordo poi la delusione provata nell’assistere alla loro prova live di supporto ai Kamelot, nel marzo del 1995: insomma, tutto questo per dire che non sono esploso dalla gioia quando il Graz mi ha spedito a casa questo promo…
Eppure… ad un esame più attento ed accurato questo platter è riuscito a interessarmi. Non so dire se sia il fatto che è un passo avanti rispetto agli altri lavori, oppure se sono stato io che l’ho accostato con maggiore obiettività. Fatto sta che “The grand design” è proprio un bel disco, curato ed elaborato abbastanza da non essere considerato banale, ma non così cervellotico da non poter piacere al primo ascolto: insomma, un disco per tutti i gusti, che si apre con le melodie epiche e sinfoniche di “Terra Nova”, in cui echi dei vecchi Queen si fondono con le più tipiche melodie di scuola Nightwish, ma continua con brani tirati e decisamente heavy (“Flame of passion”, “See you fading afar”), suggestive ballate pianistiche (“The most beautiful place”, “Taken away”), e persino un brano che strizza l’occhio al pop da classifica (“On top of the world”).
La cosa principale però, prima ancora della buona performance della band o dell’ottima produzione, è che le canzoni ci sono: per quanto nessuna di esse possa essere assurta a capolavoro, si fanno tutte godere e ascoltare più che volentieri, compresa la conclusiva title track, una sontuosa suite da dieci minuti in cui sono fusi armonicamente tutti gli elementi stilistici esplorati nel corso degli episodo precedenti.
Altra nota positiva riguarda l’artwork di copertina, ma da questo punto di vista bisogna ammettere che raramente questa band ci ha deluso…
Non sono certo diventato un loro fan, ma mi sento di consigliare “The grand design” a tutti coloro che non li hanno mai amati: chissà mai che non cambiate idea…
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