Nati nel 2015 dalle ceneri dei “Dick & Sons”, cover band di Bruce Dicknson, i finlandesi
Return To Void giungono con
Infinite Silence, al traguardo del terzo album in studio, che segue l’omonimo debutto, avvenuto nel 2017 ed il successivo “Memory Shift: The Day After” del 2018.
Per tutto questo tempo la line-up della formazione proveniente da Karhula, che vede alla voce il bravissimo
Markku Pihlaja,
Saku Hakuli alla chitarra,
Antti Huopainen alle tastiere ed alla sezione ritmica il duo formato da
Pasi Hakuli e
Kalle Kukkonen, rispettivamente al basso e alla batteria, è rimasta totalmente invariata.
Tuttavia, rispetto ai precedenti lavori citati, soprattutto in confronto al timido, ma comunque discreto esordio, che si basava un rock progressivo gradevole anche se un pò dispersivo, in
Infinite Silence il sound della band diventa molto più corposo, virando decisamente verso un più robusto heavy metal, pur non rinunciando mai del tutto, né ai suoi momenti melodici, né tantomeno alle sue tinte progressive, sempre presenti.
La sensazione di essere dinnanzi ad un disco molto più roccioso rispetto ai suoi predecessori si fa tangibile sin dall’iniziale
Aliveness, caratterizzata anzitutto da una sezione ritmica più tirata, ma soprattutto da una chitarra molto più in pungente che in passato. Per tutta la durata dell’album l'abilissimo
Saku Hakuli, marchierà a fuoco, coi suoi assoli ed i suoi arrangiamenti, tutti i brani, ma in particolare tracce quali
Foresters,
Damaged o la conclusiva
Departed and Arrived, ne beneficia di conseguenza l'intensità, oltre che l'aggressività. Reminiscenze del passato si possono trovare poi in
Stone Heart, pezzo caratterizzato dalla presenza dell’inconfondibile hammond di
Antti Huopainen che, grazie a questo particolare effetto, nell’album dell’esordio era stato forse il vero e proprio mattatore del disco, contribuendo non poco a conferire al disco quel nostalgico alone hard-prog rock ‘70s. Se
Resistance e
Full Circle non convincono del tutto, per la loro eccessiva linearità, a fare da contraltare, troviamo episodi più eleganti ed elaborati al tempo stesso, come la melodica
Freed From Illusion, la velenosissima
Equal Freaks o la stupenda
Mosaic Of Light And Shadow, che sono indubbiamente i momenti migliori di
Infinite Silence, tutti pezzi in cui, pur non rinunciando assolutamente a questo nuovo sound più aggressivo, emergono quelle venature progressive che appartengono al DNA della band finlandese e che convivono armonicamente con il resto degli elementi, indubbiamente più pesanti, presenti in questo lavoro.
Insomma il nuovo album dei
Return To Void funziona a meraviglia e la formazione scandinava si è rivelata sorprendentemente abile, pur avendo imboccato una nuova direzione stilistica, che li ha allontanati dal seminale e più morbido rock progressivo degli esordi, avvicinandoli invece ad un heavy-prog che riporta alla mente, tanto i Pagan’s Mind, con un pizzico di Balance Of Power (nelle parti più melodiche), quanto, forse per via dello stile vocale tipicamente “dickinsoniano” di
Markku Pihlaja, gli ormai “defunti” (nell’accezione prettamente musicale del termine, sia chiaro) connazionali Machine Men (a proposito, chi se li ricorda? A me piacevano moltissimo ai tempi...), pertanto la band finlandese ha fatto nuovamente centro, con un disco veramente ben suonato e che, fatta eccezione per un paio di tracce un pò zoppicanti, risulta vivace, fresco, piacevole e coinvolgente dall’inizio alla fine.