Come iniziare una recensione senza banalizzarla con lodi sperticate? Difficile, quasi impossibile, soprattutto se ci si trova davanti ad un disco di cotanta bellezza. Vabbè, cerchiamo di partire con pò di storia della band; questi Amok si sono formati nel 2001 a Ginevra e questo " Lullabies Of Silence " è il primo full lenght, dopo i due minicd " Necrosapiens " (2003) e " Hepahistos " (2004). Ok, espletate le presentazioni di rito, passiamo a discutere della musica proposta dalla band, operazione assai complessa. Partendo da qualche nome, direi che The Dillinger Escape Plan, Nasum, Ephel Duath, Cynic, Ion Dissonance, Cephalic Carnage rappresentano sicuramente i punti cardinali della band; ma anche generi colti come jazz e fusion mesciati " oscenamente " con noise e black, hanno la giusta collocazione all'interno del songwriting del disco. Detto questo, provate ad inserire questi ingredienti dentro ad un grosso recipiente e...tanti auguri!!! Se siete amanti delle sonorità più estreme, più violente e più sfrontate, accomodatevi al tavolo, il piatto, veramente bollente, è bello che pronto. Dieci brani che definire intensi suona come una presa per il culo. Gli Amok sono riusciti nel difficile compito di non assemblare tutte le loro influenze in un polpettone insipido, particolare da non trascurare e che rappresenta per loro un punto in più nel giudizio finale. Infatti, quello che molte altre bands simili a loro non comprendono, ossia che è facile picchiare come fabbri e dimostrare, con ottomila cambi di tempo e scale e solos a ripetizione, quanto si è bravi tecnicamente. Gli svizzeri, oltre alla tecnica necessaria ( che è mostruosa ), ci mettono il cervello, concependo un lotto di canzoni che sono il ritratto della perfezione. Partendo da un minutaggio medio, mai troppo diluito in inutili pipponi strumentali, fino ad arrivare ad una coerenza stilistica encomiabile. tutti i brani offrono al loro interno, decine e decine di soluzioni, tutte appetitose per l'ascoltatore attento e curioso di esplorare nuove vie di goduria. " Lullaby Of Silence " è la deflagrante opener che conduce bruscamente l'ascoltatore nell'intricato, e impervio, dedalo ritmico. Dopo una manciata di secondi, durante i quali si prendono solo dei gran schiaffoni, ecco un break sulfureo che di sviluppa in un solo selvaggio, di chiara calligrafia Slayer, salvo poi dissolversi in un continuo stop and go che riempie di incertezze colui che ascolta. Mamma mia, che razza di biglietto da visita!!! Le sorprese non tardano ad arrivare e già con la successiva " Fortress " si ha un chiaro esempio; partendo da un'ossatura grindcore, i nostri aggiungono spore velenose di un black metal glaciale, con vocals in perenne screaming ed un basso che riesce a ritagliarsi il suo spazio con bordate fusion. Confusi? Beh, non che io ne sia uscito bene, dopo l'ascolto di questo brano, eheheheheh. " Jailed In Mind " è più focalizzata sulle contorte trame chitarriste tanto care ai The Dillinger Escape Plan, filtrate comunque con un gusto molto personale. Ed è questo il punto di partenza per comprendere, e di conseguenza godere appieno, questo lavoro. Gli Amok hanno imparato dai Maestri del genere ed hanno messo in pratica tutti gli insegnamenti del caso ( o del caos? ). Non possiamo assolutamente parlare di plagio, data l'alta qualità e la freschezza di certe trovate; i nomi utilizzati fino ad ora servono solo per dare un'idea più immediata ma, naturalmente, invito tutti all'ascolto. Come fare altrimenti a spiegare i 54 secondi di follia di " Rynch " ? Buttatevi nell'ascolto, lasciando perdere preconcetti e cazzate assortite, ok? Se riuscirete a sopravvivere, ecco che il disco vi offrirà gli ultimi tre assalti ai vostri padiglioni auricolari. Il primo, " Lady Addiction ", è forse il brano più lineare, o forse il meno prismatico dell'intero disco. Non parliamo di un brano povero, anzi, solo che rispetto alla mole di informazioni e spunti delle altre canzoni, " Lady Addiction " è il brano più in your face, con un'attitudine più grezza. Certo, una lucida follia emerge sempre ed è rappresentata da un break jazzato posto a metà canzone. " Screams Noises ", è un'altra sfida per i nostri neuroni; non sarà facile seguire il tortuoso inseguirsi tra il drumming forsennato di Edward Hay e le chitarre assassine di Philippe Suarez. Dotato del minutaggio più lungo, il brano si dipana tra momenti di violenza primitiva ad altri più ragionati e colti, con inserti jazzati che, sorpresa, risultano " disturbanti " in mezzo al marasma sonoro creato dai quattro. So che può sembrare una follia, ma è una sensazione assolutamente goduriosa. I giochi terminano con " A Life With No One ", che offre anche spaccati melodici molto Textures oriented ( ciò è solo un bene!!! ); qui cala il sipario su un lavoro bello, anzi bellissimo. Gli Amok hanno scritto un lavoro che potrebbe diventare un punto di riferimento per il genere, mostrando tutta una serie di pregi; la giusta devozione per acts più famosi ed importanti, così come l'alta personalità nel proporre brani coerenti nella loro violenza e rabbia. Tutto questo, con l'intelligenza di non calcare troppo la mano con durata delle canzoni e con i cliché del genere. Consiglio il disco a tutti coloro che amano, a parte le varie bands citate nel corso della recensione, violenza, rabbia, tecnica e cervello. A voi la possibilità di godere di un ottimo lavoro. Ora, se permettete, vado a spararmi " Lullabies Of Silence " per l'ennesima volta.
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