È arduo trovare le parole giuste per cominciare questa recensione. Prima di tutto perché da quando ho ascoltato i
Pretty Maids per la prima volta, più di due anni fa ormai, rimasi molto colpito dallo stile vocale di
Ronnie Atkins, melodico ma graffiante allo stesso tempo, e provo un grande senso di rispetto e affetto per questa band. Secondo, perché
Ronnie Atkins, il quale nell’autunno del 2019 ha scoperto di avere un tumore al polmone, e che negli ultimi giorni ha dichiarato di essere arrivato ad essere incurabile, ha in un certo senso trasmesso in musica tutte le sue emozioni e sensazioni.
“One Shot”, questo il titolo dell’album, potrebbe risultare al primo ascolto come un disco di heavy metal molto leggero, scanzonato, senza un particolare significato dietro. Solitamente però, sono proprio questi dischi che mi fanno generare la curiosità di sentirli e risentirli fino a scoprire un qualcosa dietro le canzoni, una sensazione, rispetto a molte altre uscite lunghe come l’eternità e che portano dietro il nulla.
La Titletrack probabilmente, è il pezzo che rispecchia le parole espresse poco fa.
“One shot, one life , one chanche to throw the dice. What if tomorrow is too late?” canta
Ronnie nel ritornello, in una canzone quasi malinconica e che fa fermare a pensare per un attimo. Il singer però porta con sé anche il sound che da più o meno 15 anni si è insediato nella sua band madre, i
Pretty Maids, ricordando dischi come
“Motherland”, in un mix di old school con un pizzico di modernità.
“One By One” e
“Before The Rise Of An Empire” hanno dalla loro una buona melodia, assieme a linee vocali di
Atkins molto buone, certo non più graffianti come ai tempi di
“Sin-Decade” o
“Jump The Gun”, ma che lasciano comunque il segno.
“Frequency Of Love” è un’ottima ballad che mostra
Atkins in ottima forma su parti vocali meno “impegnate”, mentre
“Picture Yourself” è un ottimo mid-tempo dove delle tastiere non troppo invasive contribuiscono alla riuscita di un disco che più di un semplice assemblaggio di pezzi, suona come una sorta di specchio riflesso del cantante danese. La forse fin troppo moderna
“Scorpio” spezza l’atmosfera dell’album, e anche
“Subjugated” fallisce nel riuscire ad imporsi, risultando un po’ anonima. Migliore poteva essere anche la produzione, nel complesso buona, ma dove le chitarre non risultano incisive come dovrebbero essere, passando in alcuni tratti in secondo piano.
“One Shot” non è il disco perfetto, e sono sicuro di non vederlo neanche scalare le classifiche mondiali, venendo acclamato dalla critica. I difetti ci sono, e non sono neanche eccessivamente trascurabili. Trovo però che in molti passaggi si percepisca la volontà di
Ronnie di trasmettere i suoi pensieri e le sue sensazioni, come detto all’inizio, all’interno delle canzoni, che ritengo più importante di qualsiasi errore di produzione o passaggio non convincente. Comunque andrà, e tenendo accesa un'aspettativa che le condizioni prettamente mediche del cantante possano migliorare,
“One Shot” rimarrà un album pregno di passione e amore per un genere che ha regalato al suo autore moltissimi momenti di spensieratezza e felicità. Rimarrà il disco di un guerriero, una persona che non ha mai mollato e non sta mollando, e che dovrebbe fungere da esempio per molti. Giù il cappello.
"And tonight we roam in paradise
A higher love so beautified
When one is all and all is one
Like the essence of a fairy tale
The kind of love that couldn’t fail
The journey that has just begun"
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