Archiviata, nella maniera più tragica possibile, l'avventura con gli immensi Nasum, ecco che il drummer Anders Jakobson si rimette in pista, debuttando con la sua nuova band, Coldworker; della partita fanno parte Oskar Palsson ( Rentless ) al basso, Andrè Alvinzi ( Carnal Grief ) ed Anders Bertilsson ( Ruin ) alle chitarre e Joel Fornbrant ( Phobos ) alla voce. Il buon Jakobson stupisce tutti quanti, proponendo una musica che, pur rimanendo estrema, si discosta parecchio dal solito operato dei Nasum. Se prima era il grindcore a farla da padrone, ecco che nei Coldworker è il brutal death a dominare la scena. Un brutal death che, partendo da un'ossatura americana, si infetta pesantemente con il classico swedish death e, sporadicamente, con rifusi grindcore ( questo per non dimenticare le origini di Jakoboson ), soprattutto nei momenti più tirati. Il platter è un pugno sulle gengive; offre poco in termini di varietà ed originalità però, nel suo scopo ( ossia quello di spaccare a destra e manca ), emerge alla grandissima dal solito pattume estremo. L'unica grossa pecca è riscontrabile nel growl monocorde di Fornbrant, il quale dovrebbe modulare di più il suo rantolo animalesco. Da rimarcare assolutamente la prova dei due axemen, soprattutto in chiave solista; infatti, spesso vengono proposti dei solos malati, stranianti, che solo ad un ascolto sommario possono sembrare esser inseriti a casaccio. Invece non è così, essendo incastonati alla perfezione nel marasma sonoro che la band riesce a creare. Un disco intenso, seppur breve, che colpisce nel segno grazie a potenza, violenza e coesione d'intenti. Ottima la produzione da parte di Dan Swano e Peter In de Betou, due storiche figure nel campo dell'estremo, che sanno come deve suonare un disco per piacere. Anche se qualche caduta di tono, durante l'ascolto si riscontra, questo " The Contaminated Void " non può che esser giudicato in maniera positiva. Un buon debutto, che fa ben sperare per il continuo di carriera.
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