I suoi
fans lo attendevano con ansia, e stavolta
Gary Hughes non li ha delusi, com’era invece successo con il precedente “
Veritas”, a dire la verità svilito principalmente da una produzione deficitaria.
Il
vocalist britannico, supportato da una pattuglia di eccellenti musicisti (un “
friends & family affair”, potremmo dire … tra amici, parenti e sodali dei Ten …), sforna un disco emozionante, dove la sua voce diventa un formidabile ponte sensoriale capace di mettere in comunicazione l’ascoltatore con un universo sonoro raffinato e intenso, che alterna malinconia, spiritualità e solarità, lontano dagli “schiamazzi” e dalla futilità di troppa musica contemporanea.
Un disco avvolgente, vellutato, che induce più alla meditazione che alla catarsi emozionale, ma che sono sicuro i sostenitori di Dare, Magnum e
John Waite (oltre a quelli dei Ten, ovviamente) sapranno apprezzare, intriso com’è di melodie toccanti e fortemente evocative, screziate di umori celtici.
Quando un artista può contare su precedenti talmente significativi da rimanere indelebilmente scolpiti nella memoria del suo pubblico, ogni eventuale raffronto rischia di diventare poco equilibrato, e per questa ragione mi limiterò a definire “
Waterside” una collezione di canzoni parecchio coinvolgenti, introdotta da una “
All at once it feels like I believe”, che con il suo
pathos enfatico mi ha rammentato certe cose di
John Wetton e
Jeoffrey Downes con gli Icon.
“
Electra- glide” potrebbe tranquillamente appartenere al repertorio solista di
Bob Catley (a cui
Hughes ha collaborato …), mentre con “
Lay down” l’atmosfera musicale si colora della sacralità celebrativa dell’
hard-blues.
“
The runaway damned” sconfina in territori cari a
Springsteen, e sebbene forse il ruolo da “cantautore urbano” non si addica pienamente al nostro, il brano è tutt’altro che malvagio, al pari di “
Screaming in the half light”, una ballata sfarzosa leggermente manieristica e tuttavia piuttosto seducente, grazie innanzitutto a una prestazione vocale di prim’ordine.
Lo scanzonato clima
folk della
title-track accende di elettricità un programma che con “
Video show” sollecita a fondo i sensi dei cultori di Dare e Ten e con “
Save my soul” propone un bel momento di pulsante
blues-rock adulto, piuttosto efficace nella sua “semplicità” formale.
Una linearità che contraddistingue anche la successiva “
Seduce me”, meno incisiva dal punto di vista espressivo, e che lascia il posto all’istrionismo dell’ultimo frammento di “
Waterside”, un concentrato di melodrammaticità (appena un po’ troppo “carico”, invero …) dal titolo “
When love is done”.
Gary Hughes ritorna con un lavoro assai godibile, degno della sua carriera ultratrentennale e del suo talento, in grado di alimentare felicemente la stagione della piena maturità di uno dei protagonisti della scena melodica internazionale.
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