Copertina rossa, minimalista, su cui giganteggia un titolo, god is a major, contro il monopolio delle major sul mercato musicale. L’autore di questo lavoro è l’eclettico Gioele Valenti (Herself è il suo alter ego musicale), narratore/musicista folk portavoce di emozioni e sensazioni crepuscolari, malate e struggenti. Tornato sulle scene dopo il fortunato esordio di un anno e mezzo fa dal titolo Please please please, leave now, il cantautore siciliano ci parla di transitorietà e malinconia attraverso un folk a bassa fedeltà, in cui la voce suggestiva è appena supportata da una chitarra acustica struggente e intima, che spazia tra ballate cantilenanti ("Day goes by" o "July 2, by the lake") e pezzi più martellanti, con pennate viscerali e dirette ("Waterline"). Il minimalismo regna sovrano e le liriche sono scarne, quasi scheletrici rami invernali. Ma il messaggio risuona forte e chiaro lungo le dieci tracce, raggiungendo l’internazionalità degli ispiratori Nick Drake, Sparklehorse, Mogwai e Goodmorningboy. Scava dentro questo lavoro, e strazia l’anima: ascoltate la poesia di “Stand in a graveyeard” o “Stoned” che quiete intimista suggerisca, e giungete grazie alla strumentale "Perpetual, youth" alla tempesta della conclusiva “To became a trappist/aerolith”, distorta, rumorosa, di matrice elettro-rock. Scava dentro, Herself, e mette a nudo l’anima. Il flusso di ricordi si fa clustrofobico, le mura della vostra stanza anche. Frammenti di oscurità, e vecchie spremute di cuore. Chiude il libretto la frase “...it was wonderfull, guys, but now is gone!”, riassunto significativo di questo viaggio nel proprio Io, che vi lascia trasognati, esausti, conquistati.
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