Provo sempre una sensazione di curiosità mista a terrore quando gli amici mi dicono
“Sì, guarda ho cucinato un piatto che incontra la tradizione, ma che si sposa anche all’innovazione”. Uno, perché a volte mi sembrano paroloni messi tanto per nascondere che la pietanza è venuta una ciofeca, secondo perché credo che unire le due cose non sia così tanto facile come si dica.
Faccio questa premessa prettamente culinaria per dire che anche nella musica, il discorso è similare. Leggo da un po’ di anni di band che dicono di aver finalmente trovato l’incrocio fra le sonorità anni 80’ e quelle moderne, per poi trovarmi puntualmente davanti a un disco buono, ma nulla di più. Gli
Immortal Sÿnn, quintetto proveniente dagli Stati Uniti, si sono dimostrati esattamente quell’amico che ogni volta mi dice che è riuscito nell’esperimento, ma che ha fallito.
Con un esordio alle spalle,
“Machine Men” del 2017, nulla di trascendentale ma comunque un buon ascolto, la band si presenta al mercato nel 2021 con il nuovo
“Force Of Habit”. Ora, soltanto dalla copertina ci si potrebbe aspettare un disco non so, alla King Diamond, con un concept dietro, o atmosfere occulte e cose del genere…e invece tutto il contrario. Il gruppo offre un heavy metal molto classico, dove in più di un’occasione fa capolino quell’atlhetic metal tanto caro ai Raven, e con ritornelli Power buoni, ma mai sensazionali.
L’inizio promette bene,
“Anamnesis” è un pezzo con tinte Speed che in alcuni frangenti richiama i Running Wild, mentre
“Fight The Prince” si adagia un po’ sugli allori, mostrando comunque un buon chorus. Il problema si ha da metà disco in poi, poiché tutte le buone idee mostrate inizialmente scadono in un metal quasi autoironico e sempliciotto che si sente chiaramente su
“The Mailman Song” (che per stile e durata mi ha ricordato una certa “Hang The Pope”), e l'ancora più bruttina
“Satan’s Tavern", dove la voce squillante di
Axel Berrios non migliora l’andazzo, risultando abbastanza fastidiosa alla lunga, cosa che invece non accade quando la band decide di tornare al metal classico come in
“F.U.D.C.”. Anche
“The Ballad Of Marvin Heemeyer” non è male, nonostante una produzione che fa suonare le chitarre e la batteria come di plastica, e che non giova al risultato complessivo. Tocca a
“Whisley II: The Wrath Of Corn” chiudere, ma gli
Immortal Sÿnn continuano a insistere su quel Power piratesco alla Alestorm, tanto in voga ultimamente, ma che a me personalmente, lascia abbastanza indifferente.
Gli
Immortal Synn con questo
"Force Of Habit" si aggiungono alla lunga lista di band che potrebbero avere quel quid in più per poter produrre qualcosa di significativo, ma che preferiscono mischiare il sound moderno con quello tradizionale, facendo uscire come prodotto finale una sorta di pastrocchio. Per ora una sufficienza stiracchiata, nella speranza che nel prossimo lavoro la band abbia le idee più chiare.
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