E se, dopo tanto tribolare e peregrinare, l’approdo finale degli
Hanging Garden si trovasse proprio a
Lago Skeleton?
Cerchiamo di chiarire il punto: non è questa, a parere di chi scrive, la vetta discografica della compagine finnica (volgerei piuttosto lo sguardo in direzione di “
At Every Door”); tuttavia, ritengo che il settimo
full length dei Nostri possa rappresentare l’agognata quadratura del cerchio in termini di
sound e direzione artistica.
Quest’
album infatti, a differenza dei suoi più recenti predecessori, si presenta ai nastri di partenza con le idee chiare, avvolgendo l’ascoltatore in suadenti spire
dark /
gothic sospinte da melodie solenni e malinconiche. Il
mood complessivo non manca di una qual certa leggerezza d’animo dai toni quasi
indie, e mette in mostra un lieve substrato di ottimismo, come se il combo volesse implicitamente suggerire una sopraggiunta serenità compositiva.
Pressoché scomparsi, invece, i riferimenti al
doom ed al
melodeath, fatte salve alcune sporadiche parentesi ed il consueto ricorso al
growl -sulle
vocals torneremo a breve-.
In “
Skeleton Lake”, semmai, rinveniamo sentori della compianta scena britannica anni ’90 (
Paradise Lost su tutti), malcelati rimandi alla
wave ottantiana (soprattutto a livello di arrangiamenti) e qualche tributo agli ineludibili
Katatonia (il
riff portante di “
Nowhere Haven” parla chiaro).
Anche sotto il profilo squisitamente qualitativo, il neonato di casa
Hanging Garden dimostra una inusuale compattezza, lasciandosi alle spalle gli evidenti cali di tensione delle precedenti release.
La
tracklist, a questo giro, vanta notevole solidità, zeppa com’è di brani piacevoli e ben strutturati, con alcuni brandelli di eccellenza disseminati qua e là (la soave “
When the Music Dies” e la suggestiva “
Tunturi” i primi esempi che mi sorgono in mente).
Oltre al
songwriting, citerei quali fattori decisivi per la buona resa del disco la produzione, che riesce a posizionarsi in perfetto equilibrio tra levità e profondità, e, soprattutto, la cura certosina riservata al comparto canoro.
Nei tre quarti d’ora abbondanti di durata assistiamo infatti ad una staffetta molto ben congegnata tra
Jussi Hämäläinen,
Toni Hatakka e la (semi)
new entry Riikka Hatakka; lungi dall’adagiarsi su logori stereotipi fondati sulla cavernosa voce maschile contrapposta a quella angelica femminile, si gestisce l’alternanza in modo più raffinato, costruendo un mosaico vocale stratificato e di grande pregio.
Ascoltare “
Kuura” o “
Winter’s Kiss” per credere.
Questa, tornando alle considerazioni svolte in premessa, sembra dunque essere la versione definitiva degli
Hanging Garden: una compagine dotata e talentuosa, che presumibilmente non assurgerà mai al rango di mostro sacro del genere di riferimento, ma che ha infine trovato la propria nicchia e la propria identità.
Attendo, come sempre, di venir sonoramente smentito in occasione del prossimo disco; nel frattempo, finché il pronostico regge, rimetto sullo stereo “
Skeleton Lake” e plaudo di nuovo alla compagine finnica.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?