La
Hammerheart con l’opera di ristampa salta senza patemi d’animo
“Run To The Lights”, il che non è che mi dispiaccia molto, non tanto perché sia un brutto disco ma perché della prima parte di carriera di nostri è sicuramente il disco meno interessante e riuscito, seppur qualche freccia al suo arco ce l’avesse (la bellissima title track), per passare direttamente al quarto album in studio.
Il disco omonimo che di fatto rappresentò un nuovo inizio per i
Trouble fu pubblicato dalla
Def American e prodotto da un certo
Rick Rubin…
Album omonimo, nuovo logo, produttore prestigioso e relativa label, oltre che ad una svolta sonora e stilistica, un nuovo inizio che nel ’90 andò bene sia sotto il profilo artistico che meramente commerciale. Via il Doom Metal lento e sulfureo, più spazio per l’heavy Metal britannico tagliente e soprattutto largo allo Stoner Rock e all’Hard Rock che tanto sanno di anni ’70 che vanno a diventare i veri protagonisti del nuovo sound.
E anche le canzoni hanno durate e strutture più concise e semplici rispetto che in passato, ritmi più calzanti, una voce leggermente ammorbidita e i principali angoli del sound della band smussati e rifiniti grazie anche ad un guitarwork solidissimo.
Rubin in quell’annata contribuì agli ottimi
“Danzig II: Lucifuge” e
“Seasons in the Abyss”, con la sua mano che è forte ed evidente nel quarto lavoro di questa band americana. La produzione è quella tipica del noto produttore americano con i suoi suoni potenti e limpidi, il grande accento alla sezione ritmica (soprattutto alla batteria) e ad un sound smaccatamente statunitense.
Le canzoni si fanno dirette, anche se la varietà non manca:
"R.I.P.",
"The Wolf" e
"At The End of My Daze" sono un curioso ibrido tra il Doom Metal e l’Hard Rock,
"Psychotic Reaction" è un anthem Heavy Metal dai colori tipici del ROck anni '70 sorretto da un rocciosissimo mid tempos e da un ritornello azzeccato, la lunga e strutturata
"The Misery Shows" con quell’aria elettro-acustica rimanda ad una versione quasi Dark/Aor dei migliori
Led Zeppelin, mentre il resto della tracklist si dimena tra un energico Hard Rock, sferzate Heavy Metal, umori settantiani e attitudine da garage band (ascoltate cosa riescono a fare in meno di tre minuto con
“E.N.D.”).
A suo tempo sembrava che i
Trouble con il contributo del noto produttore americano stessero per farcela, con numeri che prima non avevano mai visto, ma come leggeremo nel prossimo album, quello del disco omonimo fu soltanto un fuoco di paglia. Ciò non toglie che quello che è stato ristampato è un ottimo lavoro, un Hard Rock parecchio eclettico e dinamico che non rinuncia né alla potenza, né alla fantasia.
Se amate questo genere, in generale le forme più “classic” del Metal e il Doom non avete scuse.
Capolavoro? No, ma poco ci manca…