Sguainate le vostre spade, indossate gli elmi da battaglia, e con il cuore pieno di coraggio recatevi davanti alla tana del drago per liberare il villaggio! No, non è una missione di The Elder Scrolls, ma praticamente il sunto per descrivere appieno l’ultimo disco dei
Feanor, intitolato
“Power Of The Chosen One”.
Fieri portatori di un heavy metal fiero e sugli scudi, la band capitanata da
Gustavo Acosta, unico membro presente sin dalla fondazione del gruppo nel 1996, arriva al quarto album di inediti, con la solita attitudine da true metallaro che farà sicuramente felici gli amanti di ritornelli anthemici, e grandi assoli. Mi soffermo un attimo sugli assoli per far presente che su questo album è presente l’ex Manowar
David Shankle, entrato in formazione nel 2018, che dà ai pezzi un ottimo taglio neoclassico. Peccato che ci fermi lì, perché
“Power Of The Chosen One” è un disco che seppur pieno di passione, latita di ogni minimo spunto di personalità e originalità.
L’iniziale
“Rise Of The Dragon” richiama alla mente una certa “Ride The Dragon” che credo tutti gli amanti del vero metal conosceranno, e che riprende anche musicalmente in tutto e per tutto, sentire per credere. La Titletrack è un pezzo che farà certo faville sotto i palchi, quando vi si potrà ritornare, ma con un ritornello veramente banalotto, stesso discorso per la più cadenzata
“Metal Land”. Da segnalare che già dopo una manciata di pezzi, i
Feanor abbiano già messo in chiaro il vocabolario usato per i testi dell’album, spaziando da metal, steel, power, honor, brother, heart, sword, e steel. Punta più sulla velocità e l’impatto
“Hell Is Waiting”, con un ottimo riff di
Shankle e un ritornello bello pompato con cori mascolini che renderà sicuramente fiero il buon Joey Demaio. Si cala nuovamente con
“Togheter Forever”, infarcito di “ooooh”, e che vuole essere un tributo a tutti i fan della band, ma che non convince per nulla, tranne per l’ottimo lavoro di
Shankle, che dopo i due lavori solisti a mio avviso moscissimi con i David Shankle Group, sembra aver trovato nuova linfa.
“Fighting For Our Dream” ricorda anche qui un altro famoso pezzo Manowariano, “Swords In The Wind”, con il vocalist
Sven D’Anna che in molti tratti cerca di creare quel pathos che solo Eric Adams sulle tonalità basse sa creare, risultando non credibile. Si chiude con la lunga
“The Return Of The Metal King (The Odyssey In 9 Parts)”, ben 19 minuti di…boh? Una interminabile intro acustica di 4 minuti e mezzo alla quale sussegue una sfuriata metallica in pieno stile finale di “Achilles, Agony And Ecstasy”, e che per i suoi minuti finale sembra ancora una volta, riprenderne i passi.
“The Power Of The Chosen One” non è un disco di per sé pessimo o con cattive idee, sono certo potrà piacere ai fan dei Manowar rimasti delusi dalle ultime produzioni di questi ultimi. Il fattore banalità però è dietro l’angolo, e seppur dopo un paio di ascolti i
Feanor risultino anche divertenti, dopo un po’ il rischio che finiscano a prender polvere è abbastanza alto.
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