Per chi scrive i
Paysage d'Hiver sono un gruppo della vita.
In pochi, forse nessuno, sono riusciti a descrivere con tanta efficacia e vividezza l'inverno e la neve come è riuscito a fare
Tobias Möckl nel corso della sua lunga carriera, così come in pochissimi hanno saputo creare un suono così estremo ed immediatamente riconoscibile.
L'anno scorso, dopo sette anni di assoluto silenzio, i
Paysage d'Hiver erano tornati con lo strepitoso
"Im Wald", non solo il miglior disco black metal del 2020, ma anche uno dei più belli degli ultimi vent'anni tanto è vero che, incredibilmente, i lettori del nostro portale lo avevano votato tra le cose migliori uscite in un anno disgraziato come quello appena trascorso.
Fatta questa premessa, necessaria per dare la giusta prospettiva alla mie parole, ammetto di essermi avvicinato al nuovo
"Geister" con qualche remora, conscio che difficilmente
Wintherr avrebbe potuto fare meglio del disco immediatamente precedente anche considerando il poco tempo trascorso tra i due lavori.
Avevo ragione.
Ma non nel senso che mi aspettavo.
"Geister" è un album molto diverso da "Im Wald".
Minimale fino all'estremo. Quasi privo di atmosfera. Giocato su pochi riff ripetuti all'infinito. Nero come la pece. Con un occhio rivolto al passato dei grandi gruppi estremi della Svizzera e con un Tobias che urla in maniera sempre uguale come se la sua voce fosse il soffio incessante del vento.
Un album, dunque, monotono.
In superficie.
Sotto il ghiaccio, invece, le cose cambiano.
Gli ascolti ripetuti, la sensazione, strisciante, di non aver colto tutto di un album durissimo e troppo semplice, pian piano hanno fatto breccia nel mio animo ed i fantasmi richiamati nel titolo sono apparsi davanti ai miei occhi poiché, ancora una volta,
Paysage d'Hiver non ha creato solo musica, ma ha dato vita ad un rituale, un rituale che ci mette in connessione con un altro mondo dove vagabondare e dove indossare una maschera per essere qualcosa di altro da se stessi.
"Geister" è musica inquietante, tormentata, primordiale e dal fascino gelido.
La sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un'unica interminabile traccia che, inesorabile, avanza, ora cadenzata ora veloce come una raffica, verso la conclusione atmosferica della strepitosa
"Geischtr", mentre, intorno a noi, cade la neve, le montagne ci osservano severe e misteriose, e l'idea di essere isolati, lontano da tutti e tutti, ci attanaglia, morbosa, stringendoci in un abbraccio freddo come quello di un morto.
Paysage d'Hiver è, dunque, ancora una volta, qualcosa di distante da ogni cosa che lo circonda: indipendentemente dalla via che sceglie per esprimersi, il risultato resta sempre lo stesso, un risultato di semplice, devastante, estraniazione che, molto probabilmente, lascerà la maggior parte di voi indifferenti, ma che, se davvero capito nell'intimo delle sue strazianti note, saprà regalare poesia musicale.
Una poesia, per mezzo della quale, ognuno saprà guardare dentro se stesso come mai prima di ora.
Di nuovo, dunque, un album monumentale.
Di nuovo il mio album dell'anno.
Davvero avete pensato il contrario?
Adesso vado, e non poteva essere altrimenti, sotto le coperte a cercare un po' di tepore dopo tanto freddo.
Ascoltate un brano come "Gruusig", qui sotto, e fate lo stesso anche voi.
Ma va bene ogni altro pezzo di questo nero monolite di intransigenza...