A sedici anni di distanza dal loro ultimo album, tornano i veri e storici "profeti del weed": i
Bongzilla. Una sorta di monumento, di istituzione, del rock più tossico, alterato, fumoso, stordente e fangoso in circolazione. Dischi come "Stash" (1999), "Gateway" (2002), "Amerijuanican" (2005), sono fulgidi esempi di un heavy-sound che si pone l'obiettivo di generare uno stato di ipnosi narcotizzata, derivata da un'attitudine estrema e senza compromessi che ha sempre promosso ed esaltato l'abuso orgiastico della marijuana (magari mischiata con altre sostanze psicoattive). Una posizione che travalica i confini dell'ambito musicale ed entra in quelli socio-politici, infatti da sempre questo gruppo ha promosso e sostenuto la legalizzazione della cannabis negli Usa e nel mondo. Ad esempio con la partecipazione a festival come "Weedstock", una evidente parodia cannabinoide della storica kermesse del 1969, dove ogni anno convengono migliaia di fautori della de-criminilizzazione dell'utilizzo del tetraidrocannabinolo sia per motivazioni terapeutiche che per puro e semplice relax e divertimento ("expand your mind"). Una battaglia che nel tempo ha ottenuto vittorie importanti, dato che oggi l'uso della ganja non solo a scopo medico ma anche ricreativo è consentito (con certi limiti) in molte parti del mondo.
Una tematica che può piacere o meno, a seconda delle opinioni personali. Ma ciò che non si può negare è che
Muleboy,
Spanky e
Magma siano dei personaggi fuori dagli schemi e dall'ormai insopportabile "politically correct" che permea ed appiattisce la società contemporanea. Gente che si pone volontariamente e provocatoriamente oltre i margini dell'omologazione pseudo-buonista/salutista, tirando avanti per la propria strada magari precaria ma almeno libera e controcorrente. A titolo del tutto personale, vedere
Mike Makela suonare sul palco con un grande cannone infilato nella narice, attiva in me la mai sopita componente trasgressiva molto più che certe scenografie da "true metal/defender/infernal/ecc." che ormai mi appaiono parecchio posticce.
Anche per quanto riguarda l'aspetto musicale, il lungo periodo trascorso ha portato qualche cambiamento nel gruppo di Madison (Wisconsin). Sicuramente c'è meno rabbia, pulsione anarchica, spirito ribelle, rispetto al passato. Questo "
Weedsconsin" sembra infatti esplorare le componenti più psichedeliche e stoner dei
Bongzilla, una dimensione maggiormente jammistica e dilatata del loro sludgy-stoner melmoso ed oppressivo.
L'iniziale "
Sundae driver" è forse la più allineata col materiale precedente: brano torvo, cupo, rombante, elefantiaco, con la voce di
Muleboy che pare il rigurgito di una nottata di sballo. I suoni distorti e granulosi incalzano pesanti per quattro minuti, opera del produttore
John Hopkins purtroppo deceduto poco dopo aver registrato e mixato l'album al Future Apple Tree di Rock Island, Illinois.
Anche "
Free the weed" è un gorgo appiccicoso, rallentato e post-doom nel senso di una estremizzazione marcia dei canoni del genere. Le vocals zombiesche e disturbanti, il tonnellaggio sonoro, le componenti heavy e le accellerazioni Wizard-iane, rendono il pezzo un classico esempio del Bongzilla-sound.
La seguente "
Space rock" ci immerge per dieci minuti in un percorso sludge dinamico e sostenuto, con ritmiche precipitose che sostengono i riff monolitici e perversi. L'atmosfera è drogata, distorta, con una grande tensione aggressiva. Poi tutto si stempera e si ammorbidisce in un lungo momento psycho-ipnotico, con la chitarra di
Spanky che spiraleggia note limpide e quasi liquide. I toni diventano più malinconici ed intimisti, come una jam del post-sbronza, per riprendere di intensità nel finale. Ottimo trip.
Il quarto d'ora dedicato a "
Earth bong smoked mags bags" si distacca invece da tutto il resto. Scopriamo la pulsione sperimentale e free-oriented del trio americano, la quale si alterna a riffoni mammuteschi e marziali. Passaggi soffusi e melma spezzacollo, groove stoner stralunato e dopato, svisate ipnotiche, rugginose improvvisazioni che trasudano fumi stordenti, ma tutto gestito in maniera coesa e coerente come ci si aspetta da veterani di questo calibro. Canzone ideale per entrare in contatto con la dimensione allucinata di questa eccellente band.
Chiude il disco la più composta e lineare "
Gummies", un tetro e sulfureo sludge-doom molto Electric Wizard dal passo pesante e trascinato. Riff ossessivo, sinistro, slabbrato, atmosfera da ultimi giorni, pesantezza da caterpillar, ma anche un pò ripetitiva.
Ritorno in grande stile per i
Bongzilla. Se da un lato hanno leggermente diminuito la carica anarcoide degli esordi, dall'altro sono certamente migliorati nello sviluppo dei brani, nella varietà di soluzioni, senza perdere un oncia del tonnellaggio sfibrante al quale ci avevano abituati. Mi auguro che questo album sia il primo passo verso la ripresa di un attivismo più costante e regolare. Bentornati.