Ho sempre nutrito verso le reunion che avvengono dopo anni di silenzio, dei tremendi dubbi e paure. Non tanto per quanto riguarda il lato esibizioni dal vivo, ma per il ritorno che poteva apparire quasi forzato e che fosse causa di una, chiamiamola così, moda degli ultimi tempi. Per questo, quando i
Cirith Ungol annunciarono il loro comeback sulle scene nei primi mesi del 2016, avevo il forte timore di trovarmi davanti all’ennesimo prodotto musicale da compitino, o ancor peggio, di dover provare a dimenticare ciò che avevo ascoltato, nonostante il bene voluto alla band, un po’ come con gli Omen di “Hammer Damage”.
Con
“Forever Black”, uscito lo scorso anno e del quale potete leggere la recensione testuale del nostro Matteo, e guardarne quella video del nostro Frank
qui, dovetti ricredermi e non di poco. Ancora oggi ho fissi nella mente molti passaggi di quel disco, che mi hanno portato e ancora mi portano verso un mondo lontano, distante da quelle sonorità di plastica, le quali più che frequentemente sembrano invadere gli ascolti odierni, e da ritornelli catchy, in un luogo dove l’Epic Metal ancora è vivo e vegeto, e non circondato da pacchianissimi cori alla “oooh oooh”, o pezzi allungati all’inverosimile nella speranza di risultare “colti”.
L’avere a distanza di poco più di un anno l’opportunità di sentire nuovo materiale inedito da parte dei
Cirith Ungol, ha rappresentato per il sottoscritto un enorme gioia, soprattutto per una ragione. Con band come i Manowar e i sopracitati Omen allo sbando più totale (in particolare i primi), o i Virgin Steele con evidenti problemi di egocentrismo da parte del loro leader, e ancora i Manilla Road purtroppo scioltisi a causa della morte del grande Mark Shelton nel 2017, ho riposto nei
Cirith Ungol uno dei pochi appigli a certi tipi di sonorità che ormai sembravano rivivere solo in dischi di trent’anni fa. Materiale che diciamo proprio inedito non è, visto che risale ai primissimi anni della band, e non è mai stato incluso nelle varie release, e che solo ora vede la luce. Ma arrivando al succo del discorso, questo
“Half Past Human”, com’è?
Un gran bell’EP, ecco cos’è. Sono diretto nel dirlo, perché sono rimasto tanto impressionato durante l’ascolto, quanto alte erano le mie aspettative prima di intraprendere quest’ultimo. Accompagnato da un’ottima copertina, i quattro pezzi qui presenti rappresentano alla perfezione l’immagine della band, che sembra ormai letteralmente rinata dalle ceneri. Se l’iniziale
“Route 666” potrebbe essere definita come la canzone più “semplice” del lotto, la voce sgraziata ed acida di
Tim Baker riesce a donare quel tono sferzante e com’è che si dice… vintage (?) al pezzo. La più veloce ed fulminea
“Brutish Manchild”, anche grazie all’ottima produzione di
Armand John Anthony, riporta alle orecchie i tempi di
“One Foot In Hell”, dove un ottimo lavoro di chitarre è uno dei principali punti a favore di questo pezzo, e che sicuramente non stancherà tanto facilmente. Ma se finora abbiamo parlato delle composizioni diciamo più immediate, è con
“Shelob’s Lair” che si hanno degli assoli da brividi, mai banali e ripetitivi, con dei riff di chitarra compatti, assieme a un lavoro al basso da parte di
Jarvis Leatherby (Night Demon) che viene valorizzato e messo in primo piano, al contrario di molti altri dischi dove il basso sembra essere un semplice contorno. Si chiude con la Titletrack, e qui la band dà il meglio di sé fra atmosfere sulfuree create dalla voce di
Baker, che non sembra invecchiare, e una prestazione dietro le pelli di
Robert Garven encomiabile. Una camminata in un inferno dantesco potrebbe essere la miglior allegoria per descrivere a parole questo pezzo, che si erge come uno dei migliori che la band abbia mai scritto, e che non avrebbe sfigurato sui dischi passati.
Sorprende la classe con la quale i
Cirith Ungol, attivi da quasi 50 annni (la band si è formata nel 1972) si mostrano al mercato musicale, e dove la loro personalità e il loro stile non sono stati intaccati dal passare del tempo e dai dettami del music business. Nessuna dichiarazione alla
"questo sarà il disco più pesante di sempre!" o
"il nostro nuovo disco ricorderà quelli più famosi...". La band non si fa tante domande, e pubblica un lavoro che riesce a parlare con la musica, e non con troppi, inutili giri di parole. Ascoltatelo ad occhi chiusi, senza farvi troppe domande, e vi ritroverete nell’affascinante e dannato mondo dei
Cirith Ungol.