Mettiamola così … se vi piace l’
AOR, non potrete proprio non adorare “
The rumble” di
Kent Hilli.
L’intera questione si potrebbe dunque anche velocemente “liquidare” in tal modo, ma ciò non asseconderebbe la mia atavica necessità di “comunicazione”, davvero impellente quando si tratta di faccende musicali.
E allora aggiungiamo che il debutto solista del cantante dei Perfect Plan è un’opera sontuosa, dedicata a chi crede che il
rock “adulto”, nelle sue caratteristiche autoctone, sia capace di superare indenne le barriere del tempo e stimolare sentimenti di commozione, rivalsa, entusiasmo e diletto, oggi come nei “gloriosi” anni ottanta.
Una “celebrazione nostalgica” dal valore transepocale, insomma, almeno quanto lo sa essere una voce straordinaria come quella di
Hilli, imparentata con le ugole di luminari del calibro di
Lou Gramm,
Jimi Jamison,
David Coverdale e
Joe Lynn Turner, non a caso universalmente riconosciuti come inestinguibili modelli di riferimento per tutte le generazioni di
chic-vocalist.
E poi ci sono le canzoni, composte dal nostro con il contributo della sorella
Tina, di
Alessandro Del Vecchio e di
Pete Alpenborg, tutta “roba” scritta con un’enorme competenza e sensibilità, alimentate da una carica espressiva che solo i grandi del settore possiedono e li rende immuni dal manierismo e dalla fastidiosa prevedibilità.
Sottolineando, infine, il valente apporto esecutivo di
Michael Palace (un altro che la "materia" la conosce piuttosto bene …), non rimane che tuffarsi in questi cinquantadue minuti di sonorità appassionanti, energiche e raffinate, in quel tipico miscuglio di testosterone e romanticismo che tanto amiamo.
L’atto di apertura, “
The rumble (Never say die)” è un autentico attentato alle coronarie dei
fans di Survivor e dei Rainbow “americani” e se la pastosa “
Cold” non provoca copiosi brividi di soddisfazione agli estimatori di Whitesnake e Bad Company, è probabile che costoro non sappiano più riconoscere i dovuti meriti a chi certe “lezioni” le ha assimilate in maniera assai efficace e propositiva.
La ballata “
All for love” è un eccellente esempio di virile passionalità, mentre con “
I can’t wait” è nuovamente un celebre “Sopravvissuto” a essere chiamato in causa, avvolgendo l’astante in una brillante aura di solare e spumeggiante vaporosità melodica.
Giunti a “
Don’t say it’s forever”, un altro brillante episodio di prepotente seduzione “radiofonica”, si è ormai pressoché completamente assoggettati al favoloso
mood di un disco che con la successiva “
Miss up to no good” solca in maniera egregia vibranti territori
hard-blues, per poi tornare a illanguidire, grazie alle note dolci e soffuse di “
Heaven can wait”, anche il
rocker apparentemente più “duro e puro”.
L’incedere frizzante e felpato di “
Does it feel like love” richiama alla memoria il
modus operandi dei mitici Foreigner, evocato con lo stesso buongusto con cui nella notturna “
Love can last forever” e nella pulsante “Never be mine” è di nuovo l’influenza
serpentesca a caratterizzare i brani.
L’intensa tensione sentimentale profusa da “
Still in love”, gratificata da un’altra fenomenale interpretazione vocale, ci consegna un albo da assaporare dal primo all’ultimo istante, confermando subito dopo la presenza di
Kent Hilli nel novero di quegli artisti in possesso della “formula magica” che trasforma la consuetudine e la familiarità dei suoni “classici” in un’esperienza emotiva imperdibile.