Una volta premuto play, pensavo che
"Vítahringur" fosse il nuovo lavoro dei Deathspell Omega: stesse dissonanze di chitarra, stesso "fastidioso" incedere atonale, voce vicina a quella di Mikko Aspa, atmosfere simili.
Invece, i
Mannveira, al loro esordio sulla lunga distanza, sebbene il gruppo si sia formato più di dieci anni fa, non sono i francesi sotto mentite spoglie, ma vengono dall'Islanda e si fanno paladini di un black "moderno" ed asfissiante, di certo molto diverso da quello primigenio degli anni '90.
Proseguendo l'ascolto dell'album, operazione non semplicissima vista l'atmosfera plumbea e malata che lo permea, ci si rende conto, invece, che i
Mannveira, fermo restando l'influenza evidente dei maestri transalpini, declinano la loro proposta in un'ottica maggiormente sludge / doom e sembrano relegare in secondo piano le parti più veloci, che pure non mancano, prediligendo, di conseguenza, un incedere più cadenzato, quasi lineare ma non per questo poco intricato, adatto a soffocare l'ascoltatore con un suono spigoloso, molto poco amichevole, ricco di odio, quasi misterioso e intimamente violento, anche se di una violenza controllata e non caotica.
"Vítahringur" è, dunque, un prodotto alieno nel suo essere disumanizzato, ostile alle nostre orecchie, nero più della pece e morboso nella sua essenza di lancinanti dissonanze che feriscono la pelle peggio del gelido vento.
Un album, per chiudere, doloroso. In tutti i sensi e per tutti i sensi.
Approcciatevi ai
Mannveira con molta attenzione.
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