Si prosegue sulla scia delle ristampe dedicate ai primi lavori degli
Arabs in Aspic ed il secondo lavoro in studio è stato a suo tempo (e pure oggi) una sorpresa abbastanza peculiare. Intanto i norvegesi si avvalgono di un tastierista e oltre a ciò gli danno tantissimo spazio, con un muro sonoro prepotentemente eretto dai suoni dei suoi tasti d’avorio, suoni che ci fanno fare un viaggio nel tempo a cavallo tra gli anni ’60 e i primi anni ’70.
A metà tra Prog e Psych, in un’epoca di un sound di transizione e ancora in definizione.
Più che di Progressive Rock, qui è più corretto parlare di Rock Psichedelico e visti i suoni rozzi di chitarra, spesso confiniamo pure nello Stoner desertico, ricco di Trip strumentali dalle atmosfere acide e con le armonizzazioni vocali che danno un vellutato tocco melodico in questi lidi vintage. Ma le strutture sono spesso vicine al Prog, infarcite di sezioni strumentali e di cambi d’umore.
Molto diverso da parecchio Neo Prog che altro non è che un povero tributo agli d’oro del genere, il gruppo norvegese comincia a raccogliere la tradizione Neo Prog scandinava (più debitrice ai
King Crimson più oscuri e spigolosi, che agli intagli sinfonici e romantici di
Yes o
Genesis) per unirla alla Psichedelia cosmica degli
Hawkwind e a quell’evergreen di
“Volume 4” dei
Black Sabbath, ma visto l'ampio uso di tastiere e di ricche parti strumentali cito pure i successivi (ed ottimi)
"Sabbath Bloody Sabbath" e
"Sabotage".
Seppur il risultato sia derivativo, si viaggia sempre su alti livelli, per raggiungere l’apice in quel rituale di diciotto minuti strumentali dal titolo di
“Butterpriest Jam”, che detta fuori dai denti è spettacolare: chitarre grasse e ruvide, tastiere siderali, basso ipnotico e batteria incensante per una jam che già da sola varrebbe il prezzo del biglietto.
Neo Psych distorto ed effettato, Hard Rock freakettone, Stoner acido, il tutto unito per andare a creare ottima musica che non ha bisogno di ricchi battage pubblicitari, al contrario di altre realtà che invece sono tutto fumo e niente arrosto.
Davvero un notevole miglioramento rispetto all'esordio molto incerto e naif dell'anno precedente, non trovate?
Ah, non venitemi a dire che una copertina del genere non meriti il vinile!
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