Chi segue la carriera degli
At The Gates fin dagli esordi (o anche prima se prendiamo in considerazione quella meravigliosa creatura che prendeva il nome di
Grotesque) solitamente prova sentimenti contrastanti nel ripercorrere le tappe toccate in quasi trenta anni di attività dalla band svedese.
Se penso a “
The red in the sky is ours” non posso che biasimarne la produzione che non rende giustizia al contenuto dell’album , per non parlare di
”Slaughter of the soul” - uno di quei lavori che non dovrebbe mai mancare nella collezione di ciascuno di noi – che ha segnato indelebilmente gli anni 90 tanto di esser diventata un’opera fin troppo “ingombrante” per la stessa band. E che dire di “
At war with reality” e di “
To drink from the night itself” ? Alcuni vi hanno accostato aggettivi quali “capolavoro” o “eccezionale”, altri invece li hanno stroncati senza pietà; per il sottoscritto sono due lavori che lambiscono la sufficienza e che hanno lasciato la band in una pericolosa palude di autocitazioni in cui era presente tanto mestiere e poca incisività.
Cosa aspettarci quindi dal capitolo intitolato “
The nightmare of being”? Cominciamo col dire che è un lavoro dignitoso, non epocale (almeno per chi vi scrive) ma che restituisce una band che non ha avuto paura di fare dei passi al di fuori dalla propria zona di confort senza aver paura di scontentare – mi si perdoni il termine – i “puristi”.
Su tutto, la prova incisiva e maiuscola di Tompa, uno dei pochi cantanti estremi capace di fare la differenza su qualsiasi materiale si ritrovi fra le mani.
Contenuto più vario quindi, non proprio due anime nello stesso dischetto di plastica ma non mi stupirei se qualcuno arrivasse a questa considerazione. Prendiamo come esempio una
“The fall into time”, brano che gli
At The Gates del passato difficilmente avrebbero scritto dalle atmosfere venate di prog oppure
“Touched by the white hands of death” dai toni apocalittici/sinfonici (in “
Garden of Cyrus” viene utilizzato anche il sax), dall’altro ci sono i “classici” ceffoni in faccia come, ad esempio,
“The paradox”, in cui l’ascoltatore viene coccolato dal confortante tiro deathrash melodico.
Agli
At The Gates del 2021 possiamo quindi abbinare il termine “sperimentazione”? Direi proprio di sì ed ovviamente solo il prossimo lavoro ci dirà se “
The nightmare of being” è stato un piacevole excursus o se è il primo passo verso una rinnovata forma della band di Gothenburg, ma nel frattempo non possiamo che esser felici dell’uscita della band da quella palude citata in apertura. Non proprio una cosa di poco conto.
P.S.: peccato che l’album si chiuda con
“Eternal winter of reason”, non proprio un pezzo memorabile che poco lascia alla fine dell’ascolto.
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