Avevo atteso da gran tempo l'uscita del nuovo lavoro dei Korum, incuriosito dai grandi cambiamenti che la band aveva annunciato in questi ultimi tempi, tanto grandi da far supporre addirittura un cambio di monicker, decisione poi abbandonata a quanto pare a furor di popolo, in base ai feedback ricevuti dai loro fans. In effetti dei vecchi Korum è rimasto ben poco, anzi si può dire quasi nulla, all'infuori del leader storico Pascal Vigne. Partendo dalla revisione integrale della line up, passando per il tipo di canzoni composte per arrivare ai suoni e alla produzione scelta per "Ockham's Razor", ci troviamo di fronte ad un gruppo che non ha praticamente più niente da spartire con il passato. Non abbiamo più il death tecnico degli esordi quindi, le canzoni si sono fatte più snelle, meno rabbiose, che pur continuando ad avere certe influenze hardcoreggianti, vengono mitigate da suoni che potrebbero essere adottati tranquillamente da qualche volenterosa band stoner in cerca di gloria. In certi frangenti riecheggiano gli Exit 13 di "Don't Spare the Green Love", specialmente durante gli intermezzi avantgarde, mentre fanno mostra di se diversi riffs ossessivi e ripetitivi, in pieno stile Meshuggah, ai quali però fa da contraltare una performance vocale coraggiosa e sconcertante nella sua voluta monotonia ed eccentricità. Tutte queste novità però non sono state ancora ben digerite dal gruppo, che appare ancora immaturo ed incapace di donare freschezza a tutte le canzoni, che durante lo scorrere del disco diventano sempre più ripetitive e stancanti, nonostante ci siano molte buone idee e la esecuzione tecnica sia oltremodo perfetta e mai troppo innamorata di se stessa. Ma per andare oltre ad una discreta sufficienza tutto questo ovviamente non può bastare, vedremo se il futuro porterà buone nuove per i Korum.
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