Si è spesso dibattuto, in maniera anche un po’ pretestuosa e superficiale, sul concetto di
hard-rock “al femminile” e sul contributo delle donne a una “causa” ritenuta prettamente maschile.
Ebbene, sono certo che anche il più “sciovinista” dei
rockers, di fronte alla discografia di
Lee Aaron sarà “costretto” ad ammettere che la canadese ha avuto un ruolo tutt’atro che marginale nella storia della nostra musica preferita, sfruttando ad arte, all’occorrenza, le armi della seduzione e dell’ammiccamento erotico, ma mantenendo al contempo livelli artistici di notevole spessore.
Metal,
hard,
pop,
AOR e addirittura
jazz sono stati gli strumenti stilistici utilizzati con scaltrezza dalla
Aaron per esporre la sua duttile, potente e sensuale ugola e da quando la nostra è ritornata a frequentare i battuti sentieri del
rock duro non c’è stata la benché minima ombra di flessione espressiva, circostanza confermata da questo nuovo “
Radio on!”, un dischetto che, pur nella sua “semplicità” stilistica, s’impone con una certa prepotenza nel panorama musicale odierno.
Abbiamo, infatti, a che fare con un lavoro che nella “prevedibilità” dei contenuti si distingue per la
verve e la partecipazione emotiva di una voce altamente comunicativa, impegnata in una collezione di eccellenti canzoni, in grado di spaziare tra le varie sfumature del genere con classe e sensibilità.
L’impatto istantaneo di “
Vampin’”, degno delle Heart degli esordi, è un eccellente “biglietto da visita” dell’albo, al pari della successiva “
Soul breaker” che aggiunge una raggiante melodia a un’interpretazione vocale in grado di far provare un “brividino” speciale a tutti gli estimatori di
Ann Wilson (e
Pat Benatar).
“
Cmon” tenta di farsi spazio nella “radiofonia” contemporanea con buone dosi di qualità e intelligenza, mentre con il
groove incalzante di “
Mama don’t remember” il programma riprende a frequentare climi sonori più viscerali, sostenuti dal
solo Blackmore-iano dell’ottimo
Sean Kelly.
Giunti alla
title-track, si comprende quanto possa essere ancora efficace una trama
hard-southern quando è scritta e interpretata con la giusta ispirazione e lo stesso si può affermare, spostando la lente stilistica su temi più esplicitamente
blues n’ roll, parlando di “
Soho crawl”, un coinvolgente numero di strisciante e ammiccante caligine sonica.
L’intensa e magnetica “
Devil’s gold” (bello il finale vagamente alla Derek and the Dominos) conferma lo “stato di grazia” di
Lee, e se il
R'n'R “
Russian doll” e la cadenzata “
Great big love” sono gradevoli “riempitivi, “
Had me at hello” arde di adescanti scosse
funky e “
Wasted” e “
Twenty one” grondano di miele e tensione sentimentale, un’altra delle tante “specialità della casa” di
Mrs. Karen Lynn Greening.
“
A volte ci vuole una donna per eccellere in quello che gli uomini credono di fare meglio” … le parole di
Share Pedersen delle Vixen (dette ai tempi del loro successo), suonano in qualche caso meno esagerate e forzate di quanto si possa pensare … al di là di ogni altra futile considerazione,
Lee Aaron è ancora oggi una credibile, grintosa e talentuosa rappresentante del settore, una di quelle dotate di un certificato di autenticità artistica che non ha data di scadenza e in cui la specificità del “sesso” non è richiesta.
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