In soli tre anni di carriera, gli
Hippie Death Cult sono già considerati una stella emergente dello scenario alt/stoner/retrò rock contemporaneo. Fondati nel 2018 a Portland, Oregon, dal veterano della scena locale
Eddie Brnabic (chitarra), si sono presto completati con l'arrivo della bassista
Laura Phillips e del batterista
Ryan Moore (che avevano già militato insieme in formazioni del posto) ed infine con l'ingresso del cantante e tastierista
Ben Jackson. Dopo una intensa attività live, è uscito l'album di debutto "111" (Cursed Tongue Records, 2019), seguito da partecipazioni a diverse compilation. L'anno scorso gli americani hanno siglato un contratto con
Heavy Psych Sounds e contribuito al progetto "Doom sessions". Adesso pubblicano il secondo full-length, intitolato "
Circle of days".
Lo stile del quartetto non è immediato, perchè ingloba svariate influenze. C'è sicuramente una solida base di rock seventies, comprensiva di elementi dark-occult, psichedelici e di una struttura dei brani molto caleidoscopica. Ma troviamo anche richiami al grunge '90 in certi passaggi melodici che esprimono sconforto e pennellate di malinconia, così come echi di moderno hard stonerizzato ed ombrosità post-doom.
Cinque brani molto estesi, ricchi di giravolte ritmiche ed emozionali, con una evidente tendenza alla struttura "free-form" e attitudine jammistica e trippy. Per fornire qualche punto di riferimento, siamo nell'area di gente come Earthless, Harsh Toke, Cybernetic Witch Cult, Mountain Tamer, ma i ragazzi dell'Oregon mostrano una personalità davvero marcata.
Primo punto di forza è l'eccellente prestazione strumentale di ogni singolo componente, che emerge negli articolati passaggi musicali. La voce di
Jackson è calda e avvolgente ed i suoi contributi tastieristici arricchiscono lo spettro sonoro, la
Phillips mulina linee di basso robuste e pastose, il drumming di
Moore è flessibile e possiede un vago retrogusto prog, mentre la chitarra di
Brnabic si libra spesso in voli solistici da "old school" dello psycho-rock.
Secondo punto di forza è proprio negli improvvisi cambi di passo e attitudine, che non interrompono però la linearità delle canzoni. Ad esempio il tema solidamente Sabbathiano di "
Red meat tricks" viene abbellito da preziosi tocchi vintage (che mi ricordano i lontani Warhorse) e da un vibrante groove di matrice stoner. Un pezzo dove la grinta e l'intensità viene mischiata con l'ottima estetica rock seventies.
Più poderosa la spinta di "
Hornet party", dal tiro decisamente heavy ed aperture ariose grungy. Il chitarrismo di
Brnabic si adatta bene anche ad una impostazione maggiormente graffiante e veloce. I saliscendi emozionali sono da band matura e padrona dei propri mezzi.
"
Walk within" è invece una ballad elegante, molto dark, con armonie vocali assai ricercate, arpeggi di chitarra e contributi di pianoforte. Episodio d'atmosfera, nostalgico e raffinato, con il limpido assolone nel finale, adatto agli animi più sensibili e romantici.
Con i due lunghi pezzi finali ("
Circle of days" e "
Eye in the sky") si ritorna allo stile più abituale degli
HDC: percorsi ondulati e complessi, di puro hard rock virato nella psichedelia. Passaggi sinuosi e avvolgenti si alternano a riff ipnotici ed oscuri, per poi diluirsi in code dal notevole gradiente lisergico. Se vogliamo, si scorge quasi un lontano eco Floydiano nella delicatezza onirica di alcune soluzioni. Questa è una formazione che possiede abilità, idee, attitudine e le condensa al meglio.
Ottimo gruppo, ottimo disco. Una piccola gemma di neo-hard-psichedelia, consigliatissima ai cultori del genere.