Con i Degreed
Robin Ericsson ha cercato di praticare un’impavida sintesi tra
hard melodico nordico e taluni modernismi dell’
alternative e se in quel caso i risultati, pur godibili, hanno finora mostrato qualche difetto di coesione, nelle nuove “vesti” di
Robin Red il cantante svedese si affida a un più “rassicurante” approccio tradizionale, conquistando istantaneamente i sensi degli appassionati del genere.
Il suo primo eponimo disco solista è, infatti, un’opera davvero piuttosto riuscita e appassionante, in grado di assimilare in maniera istintiva e ispirata gli insegnamenti di Europe,
Rick Springfield, Foreigner e
John Waite, restituendo all’astante una dozzina di canzoni di eccellente livello artistico, scandite da una conduzione vocale molto emozionale e comunicativa.
Si comincia con una “
Don’t leave me (With a broken heart)” in grado di provocare sussulti d’apprezzamento ai seguaci di Europe, Ten e Bon Jovi, mentre in
“(I’m a) bad habit” il nostro svela, conservando competenza e freschezza, il suo lato maggiormente energico e
bluesy (e qui la lezione di Bad Company e Foreigner appare veramente importante), per poi piazzare, con “
Everlyn”, un’accattivante e avvolgente melodia “a presa rapida”.
“
Freedom”, la vaporosa “
Midnight rain” e la splendida “
Head over heels” omaggiano in maniera brillante la grande “scuola” del
rock radiofonico
yankee, capace d’irrobustirsi nuovamente nelle adescanti pulsazioni soniche di “
Can’t get enough” o di ostentare suggestive velleità elettro-acustiche in ”
Reason to survive”, una sorta di convincente miscellanea tra Tyketto, Extreme e Mr. Big.
Altre copiose ed emozionanti vibrazioni adulte le procurano “
Heart of stone” e la vagamente
Bryan Adams-esca “
Nitelife”, per un programma che riserva ancora la grinta di “
Living dead” e la pastosità
soul di “
Living for”, a completamento di quarantotto minuti di ottima musica.
Realizzato con il supporto di
Dave Dalone degli H.E.A.T. (che produce e contribuisce in sede esecutiva e compositiva), “
Robin Red” accantona ambiziose prospettive ibridatrici e propone una “semplice” raccolta di buongusto sonico “classico”, di quel tipo che non può proprio lasciare indifferenti gli estimatori del settore.
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