Una band che si chiama
Stöner, un disco che si intitola "
Stoners rule". Non occorre grande sforzo d'immaginazione per intuire di quale stile musicale parliamo.
Questa è la nuovissima formazione creata da due indiscussi maestri del genere:
Brant Bjork e
Nick Oliveri. La loro carriera è semplicemente spettacolare e li ha visti protagonisti non solo negli immortali Kyuss, ma anche con nomi del calibro di Fu Manchu, Queens of the Stone Age, Mondo Generator, Fatso Jetson, Che, Desert Sessions, ecc. Rivederli insieme, con il drummer
Ryan Gut (Brant Bjork band), non può non emozionare qualsiasi cultore di stoner/desert rock.
Sette brani, dei quali cinque evidenziano il marchio di
Bjork e del suo inconfondibile tocco desertico e due che esprimono l'urgenza punk-metropolitana caratteristica di
Oliveri.
"
Shit don't change, rad stays rad" ("la storia non cambia, i fighi restano fighi" il significato gergale) è il ritornello dell'opener, un manifesto di stoner americano targato Joshua Tree (dove infatti è stato registrato l'album). Passo ciondolante, allucinato, stordito, con la voce livemente letargica di
Brant che induce alla rilassatezza stuporosa delle sabbie e del calore cocente. Il basso slabbrato e poderoso, la cadenza mid-slow, l'insinuante gradevolezza delle vocals, il mood da hipster disillusi ed anticonformisti, ne fanno un piccolo manuale di desert-rock contemporaneo.
Più nervosa, grazie al basso pompato ed alla ritmica maggiormente secca, la seguente "
The older kids" che ricorda non poco i tempi kyussiani. Qui mi sarebbe piaciuto sentire la voce più arrotata di Garcia, ma è comunque un episodio di grande groove da scapocciamento live.
Del tutto diversa "
Own yer blues", che è proprio un lento blues notturno e drogato. Gran refrein melodico e carezzevole, cadenze ipnotiche ed atmosfera da dopo sbronza. Episodio molto vicino alla produzione solista di
Bjork, che ci aggiunge anche lunghi assoli acidi da trip-song. Canzone ideale per un ascolto tra i fumi della marijuana. Da sottolineare quanto sia migliorato nel tempo come chitarrista l'irsuto guru dello stoner.
"
Nothin'" e "
Evel never dies" sono brani pratici e concisi, molto
Oliveri-oriented. Il primo ha un retrogusto da QotSA degli esordi, con la sua torva orecchiabilità, il secondo è molto più punk e cafone e pare un outtake dei Mondo Generator. Basso rombante ed essenzialità raw-rock'n'roll, con voce da punkettone fine anni '70. Parte centrale del lavoro che offre un deciso stacco dal resto e testimonia la volontà del duo di far confluire le loro differenti impostazioni musicali, senza privare di coesione l'insieme.
"
Stand down" è uno stoner classico carico di hypno-groove, avvolgente come le spire di un serpente a sonagli. Forte pennellata psichedelica e narcotica a strutture molto heavy, come piace a noi appassionati. Sugli scudi il tambureggiare di
Gut, che in tutto il lavoro è una presenza tutt'altro che marginale. Altro brano pienamente riuscito.
La chiusura è affidata ai tredici minuti di "
Tribe / Fly girl", una sorta di monumento a questo tipo di sound. Riff torbido e ripetuto fino allo sfinimento, voce placida e torpida, una sorta di oscurità drogata che agisce in sottofondo insieme alle connotazioni acid-rock. Un tema mantrico e spiraleggiante, un vortex-sound di altissima qualità che può rappresentare ciò che i Kyuss produrrebbero oggi se finalmente si riformassero. Nella seconda parte della traccia, rallentamento doomy e chitarra space (molto Sons of Otis a mio parere) che generano un'atmosfera da vero rituale desertico. Canzone top, davvero "
stoners rule".
Uno dei dischi più belli e significativi della prima metà dell'annata. Alta qualità strumentale, compositiva, carismatica. La
Heavy Psych Sounds ha messo a segno un grande colpo, che mi auguro vivamente non rimanga un episodio isolato.