Ritorniamo (come anticipato …) a parlare di
Neil Merryweather grazie alla
Regain Records, che dopo “
Space rangers” riesuma dall’oblio del tempo anche questo “
Kryptonite”, continuazione del viaggio siderale, stralunato e fascinoso di un musicista davvero visionario e creativo, conosciuto più per la sua “estemporanea” collaborazione con
Lita Ford che per il suo lungo e poliedrico
curriculum.
L’albo, uscito in origine nel 1975, è un degno, forse addirittura maggiormente focalizzato, seguito del suo brillante predecessore, e nei suoi solchi troverete mescolati con innato gusto espressivo,
space,
glam e
hard rock, per un risultato assai coinvolgente e ipnotico, perfetto per essere apprezzato anche in questo momento storico dove gli influssi dell’
old fashioned non accennano a esaurire la loro pressione.
Pilotato dal basso pulsante e dalla voce magnetica di
Neil, il programma si apre con due brani che mettono altresì subito in evidenza la pirotecnica chitarra di
Michael "Jeep" Willis, una sorta di combinazione tra
Larry "Rhino" Reinhardt (Iron Butterfly, Captain Beyond, …),
Frank Marino e
Michael Schenker, capace di marchiare a fuoco la volitiva liquidità della
title-track e una “
Star rider” che non mancherà di ammaliare gli estimatori di Uriah Heep e Black Sabbath.
Con “
Always be you” il clima dell’opera cambia, ma a rimanere costante è la qualità con cui la
band tratta la cangiante materia sonora, stavolta intrisa di
funk,
soul,
southern e psichedelia, dando origine a un’adescante “canzone” adatta anche alle programmazioni radiofoniche.
In “
Give It everything we got” è ancora una volta l’ardore del
funky a fungere da impalcatura del brano e se Trapeze e Deep Purple sono tra i vostri ascolti quotidiani sono certo che amerete questa versione “spaziale” di quei suoni, magari immaginando i suddetti gruppi impegnati in un’impetuosa
jam-session con gli Scorpions di “
Lonesome crow”.
“
The groove” combina felicemente Mott The Hoople e Derek and the Dominos, “
The real life love” mesce Slade e Allman Brothers con la giusta dose di “follia” e per “
You know where I'd rather be” si potrebbe tranquillamente parlare di “
space-glam”, tanto per non farsi mancare una di quelle bislacche definizioni di genere che faticosamente tentano di esplicitare le varie declinazioni del
rock.
E’ nuovamente (era già accaduto nel debutto) una caleidoscopica dilatazione Pink Floyd-
iana, “
Let us be the dawn”, a porre un suggestivo sigillo a “
Kryptonite”, un disco che merita pienamente di essere (ri)scoperto, consentendoci anche di indirizzare un sentito saluto a
Neil Merryweather, un artista autentico e troppo sottovalutato, purtroppo scomparso, dopo una breve malattia, nel marzo di questo infausto anno 2021.
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