Ecco che dopo quattro anni di distanza dal precedente “
Emperor Of Sand” tornano gli americani
Mastodon.
Io sono un fan della prima ora, li seguo in dall’esordio “
Remission” e reputo che abbiano raggiunto il loro apice con lo stupendo “
Crack The Skye” dove hanno mostrato il lato più prog del loro spettro musicale.
Ora tornano con il nuovo album, un lavoro della durata di ben un’ora e mezza ma che non annoia, anzi; il disco è pieno di stratificazioni, colpi ben assestati sempre in bilico tra seventies, squarci heavy e profumi progressivi.
Si parte con ”
Pain with an anchor”, brano tipico dello stile dei nostri tra parti ritmate ed altre più riflerssive con
Sanders, Dailor e
Hinds a dividersi le parti vocali sfruttando le armonie.
Qui all’interno c’è anche un bell’intermezzo aggressivo e potente, ottima apertura.
Altrettanto potente è il secondo brano “
The crux”; un vero pugno prog metal diretto e aggressivo, difatti i nostri non badano molto alla forma ma alla sostanza, dove tecnica non fa solo rima con virtuosismo ma anche con emozione.
Ve lo spiego subito; in questo frangente abbiamo due livelli, uno più tagliente con riff spessi e selvaggi e ritmi vorticosi creati da continue rullate e graffianti interventi vocali in sottofondo, il secondo invece più malinconico e riflessivo con un bel solo caldo condito da parti vocali pulite.
“
The beast”, dato il titolo dovrebbe essere un brano violento; sbagliato, perché qui l’anima dei nostri sfodera un piglio rock lento e acido aperto da chitarre acustiche e un che di blues.
Poi ecco che tutto prende una piega aggressiva nel mezzo con chitarre più livide e taglienti e un grande assolo chiudendo il cerchio in un mood rilassato.
“
Skeleton of splendor”, è un brano dove l’anima floydiana salta fuori; composizione acustica che mostra una vena malinconica.
Gli arpeggi e il tono vocale hanno un mood intenso corredato da uno stupendo assolo di tastiere che richiama il
Rick Wright del periodo “
Wish You Where Here”.
“
Teardrinker”, ti rapisce con un grande riff iniziale; mid tempo dalla vena più rockeggiante ma che ha un chorus che ti prende l’anima, aperto e con una vena melanconica.
Attenzione perché, parafrasando il compianto Corrado, non finisce qui; il brano ha uno scatto finale nella bruciante accelerazione.
La conclusiva “
Gigantium” è possente e pesante come un blocco di cemento, ma nonostante tutto le melodie vocali limpide sono un quid eccellente.
Sentitevi l’assolo che è puro prog, una bella chiusura per un platter di gran gusto.
Un disco ispirato dove il quartetto non cerca di strafare o di trovare strane alchimie proseguendo coerente alternando potenza a delicatezza, bravi!
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