Sinceramente speravo meglio.
Molto meglio.
Il precedente "
The Eighth Mountain" uscito nel 2019, aveva per quanto mi riguarda riportato i
Rhapsody su carreggiate a me decisamente più congeniali: un processo iniziato a dire il vero già con "
Into the Legend" del 2013 che ci restituiva una band meno pomposamente barocca e sinfonica e più vicina ad un power metal di inizio carriera, il che unito ad una qualità dei brani non ancora del tutto uniforme ma comunque soddisfacente lo aveva portato ad essere a mio avviso il loro disco più riuscito degli ultimi 15 anni e da cui si poteva ripartire con deciso slancio.
Il cambio di vocalist dopo una vita è stato certamente un fattore fondamentale, una chiave di volta della storia dei Rhapsody, e l'ingresso di
Giacomo Voli era stato un altro punto che non era riuscito a convincermi del tutto, sin da quel "
Legendary Years" in cui aveva l'improbo compito di reinterpretare i brani cantati originariamente da
Lione, uscendone purtroppo con le ossa rotte, ma confidavo che un songwriting più mirato, magari basato maggiormente sulle sue qualità e sulle caratteristiche principali, ed un suo ulteriore progresso come "
cantante dei Rhapsody" e non solo come "
cantante di mille cose e poi anche dei Rhapsody" avrebbero reso questo nuovo "
Glory For Salvation" un disco con una se non due marce in più.
Invece no.
Siamo rimasti lì, in questo limbo da cui i Rhapsody odierni non riescono ad uscire del tutto, e buona parte di questo empasse - spiace dirlo - è rappresentato proprio dalla voce di Voli, un'arma a doppio taglio.
Benchè oltremodo dotato e di talento, semplicemente la sua ugola non è tagliata per la musica che adesso vorrebbero proporre i Rhapsody: non ha abbastanza spessore, non è abbastanza fiera ed imponente ed anche nei passaggi più estremi, come all'inizio della lunga suite "
Abyss of Pain II", che riprende l'opener del disco precedente e per una volta posta a metà lavoro invece che alla fine, il paragone con il Lione di "
When Demons Awake", tanto per citarne una, non può nemmeno iniziare.
Ed anche sugli acuti più alti, vedi la bella "
Maid of the Secret Sand", benchè ottimamente raggiunti la voce si fa esile e leggera, anzichè tronfia e possente come vorrebbe il symphonic power metal dei nostri.
Quando invece le atmosfere cambiano, virando più sul più tranquillo folk rock di "
Terial the Hawk", tutto sembra filare liscio ed oliato a meraviglia, specie quando le tonalità non si alzano troppo, dando pieno campo ad un Voli che da' veramente il meglio di se' su tonalità medio/basse, senza lanciarsi ad ogni costo su altezze vertiginose che potrebbero rappresentare più un minus che un plus, vedi anche la buona ballad "
Magic Signs" che finalmente riesce a catturare a pieno il suo valore o la più "poppeggiante" "
I'll Be Your Hero".
Restano i pregi di un disco che, come il precedente, propone un buon numero di brani all'altezza, ben ancorati a radici metal e che ci portano indietro di qualche anno, come la battagliera "
The Kingdom of Ice" e la successiva title track, davvero delle sferzate che ci fa piacere riascoltare da parte della band di
Alex Staropoli, con una splendida "
Infinitae Gloriae" che farà alzare il pugno di molti di noi.
Tra le note negative rimane invece una produzione troppo "moderna", leggi plasticosa, specie il rullante del povero neo-entrato Paolo Marchesich, ma ormai ci siamo fatti purtroppo il callo.
Ne consegue un disco leggermente più riuscito di "The Eight Mountain", con un songwriting più fluido e costante e nuovamente nella giusta "direzione", almeno per quanto mi riguarda: invece forse per i Rhapsody la direzione giusta sarebbe quella di smussare la loro musica e di spogliarla dei connotati più epici, per sfruttare al meglio le caratteristiche del loro frontman che molto di più potrebbe apportare su registri meno estremi, in cui non debba anche affrontare i fantasmi di un passato ingombrante.
Ma, come sempre, saranno il giudizio popolare e la volontà della band ad indirizzare il futuro dei Rhapsody e non certo il parere di un vecchio fan della prima ora: godiamoceli per come sono adesso, di nuovo alle prese con sonorità meno orchestrali e pompose che faranno la felicità - oltre che mia - di chi non riusciva più ad ascoltarli in quella tremenda parentesi di una quindicina di anni fa.