Cosa dire di questa ennesima rinascita degli
Unanimated?
Una carriera nata iniziata sotto i migliori auspici con due dischi fondamentali, il cui ascolto è indispensabile per chi chiunque si approcci al metal estremo dei primi anni 90. Poi ben quattordici anni di silenzio interrotti dalla pubblicazione del luciferino
“In the light of darkness” nel 2009 che ha fatto sussultare più di un vecchio cuore metallico speranzoso di una ripresa in grande stile. Poi un ulteriore decennio di buio con la flebile, quanto effimera, luce costituita dall’uscita dell’EP
“Annihilation” del 2018, una manciata di selezionatissime esibizioni live (il sottoscritto era presente allo spettacolare concerto in quel di Stoccolma in occasione dello “Scandinavian Deathfest”) seguite da un ulteriore buco nero che sembrava aver ingoiato tutto per l’ennesima volta.
Infine, dal nulla (leggasi: i social) la notizia che a fine 2021 sarebbe uscito l’atteso quarto album degli Svedesi. Interesse a mille ma quasi subito smorzato dalle inevitabili domande che credo sia siano un po' posti tutti:
“qual è il senso di questa ennesima reunion?”
“ce ne era davvero bisogno?”
Dubbi più che legittimi, anche alla luce di ciò che hanno prodotto quest’anno alcune storiche band death metal (N.d.R.: i nomi li sapete anche voi…), uscite che hanno provocato una certa divisione nell’audience metallica fra chi ha gridato al miracolo e chi, invece, li ha giudicati fra il bollito e l’inutile e che, in ogni caso, hanno permesso ai suddetti gruppi di raggranellare qualche spicciolo facile fra i nostalgici ed i collezionisti.
“Anche gli
Unanimated si sarebbero uniti alla lista?”
La risposta è un sonoro ed inequivocabile “No!”.
“Victory in blood” è un ottimo disco, un lavoro in grado di emergere con prepotenza dall’amorfa massa di uscite che molte volte ci fanno perdere solo tempo prezioso, ma soprattutto è un album che non getta ombre sullo storico moniker svedese.
E’ un lavoro tellurico, dal piglio iracondo e guerrafondaio, le cui radici affondano e traggono linfa vitale dai fertili anni 80 ed in cui, in particolare, emerge con passione l’anima thrashettona degli
Unanimated rispetto (od a discapito a seconda della parte dello specchio vi trovate) a quella più tormentata e sulfurea che viene in qualche misura centellinata durante l’ascolto.
Certo è, che quando le melodie si fanno più tetre e maligne e le ritmiche meno convulse e più controllate, in particolar modo nella parte centrale del cd, la temperatura di
“Vicotry in blood” sale in maniera proporzionale passando da “bollente” ad “infernale”.
“XIII” ,”Demon pact”, “Scepter of vengeance” ma soprattutto la magnifica
“The poetry of the scared earth” posta sapientemente in chiusura dell’album, sono un invito ad abbandonarci ad un abbraccio oscuro e ci fanno capire il motivo - se mai ce ne fosse stato bisogno - per cui gli
Unanimated sono considerati dei Maestri del genere.
Prepariamoci a trovarlo presente nelle immancabili classifiche di fine anno,
“Victory in blood” si appresterà a raccogliere una messe di consensi pressoché unanimi con la neanche troppo nascosta speranza che non vadano in letargo per un altro decennio.
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