Quando ho visto la lettera “X” posta subito dopo la parola “MERCURY”, sapendo che si trattava di una band progressive, senza mai aver ascoltato nulla della loro discografia, ho subito malignamente pensato ad uno dei tanti cloni della “X” più gloriosa e famosa del sottogenere prog metal, ovvero quella che fa da suffisso al termine “Symphony”, ma fortunatamente mi sbagliavo.
In realtà, la musica proposta da questi svedesoni che fanno capo a
Martin Björklund (voce e chitarra), giunti con
Imprisoned al traguardo del terzo album in studio (il primo per una label che finalmente ha creduto in loro, ovvero la sempre attenta
Frontiers Music), è molto più orientata sulla melodia, piuttosto che sull’incisività o sulla tecnica e, se proprio vogliamo trovare dei termini di paragone, possiamo considerare il loro stile più vicino ai connazionali Evergrey (ma meno drammatici) o agli onnipresenti (dove c’è prog, ci sono sempre loro!) Dream Theater (ma meno complessi).
L’ultima fatica discografica della formazione originaria di Norrtälje, si presenta come un lavoro tutto sommato ben suonato, che ha nella title-track, una suite della durata di 20 minuti, il suo autentico fiore all’occhiello. In questo brano infatti, sono interamente concentrati gli sforzi di tutti i singoli membri dei
Mercury X, che qui riescono a dare il loro meglio; la sezione ritmica, curata da
Denis Diaz (batteria) ed
Alfonso Flores (basso), è molto elaborata e costituisce le fondamenta ideali per una struttura musicale in costante evoluzione, eretta a sua volta dalla coppia formata dal già citato
Martin Björklund e dal telntuoso chitarrista
Jonas Vedin, autori di fraseggi ed assoli davvero apprezzabili.
Le restanti 4 tracce di
Imprisoned invece, vivono di alti e bassi. Per quanto non siano assolutamente brutte anzi, regalino anche dei piacevoli momenti, grazie soprattutto alle scelte melodiche particolarmente azzeccate, tuttavia non sembrano all’altezza della title-track, in quanto troppo dirette (un delitto per gli amanti del progressive) e prive di soluzioni alternative alle melodie, che permettano di sprigionare quella carica emotiva, che nelle intenzioni della band, doveva essere il punto focale del disco. In questi pezzi, il pathos viene valorizzato solo dalle affascinanti atmosfere malinconiche create all'interno delle composizioni, che però, a loro volta, sembrano quasi artificiali e mancano di mordente, non riuscendo quasi mai a lasciare veramente il segno.
Imprisoned quindi, è un lavoro che vive di guizzi sporadici, pieno di ottime intenzioni, che però vengono concretizzate solo a tratti.
Pertanto, in virtù della regola non scritta secondo cui, il terzo album di una band ne decreta la consacrazione o la bocciatura, nel caso dei
Mercury X, si potrebbe tranquillamente affermare che sarebbe il caso di ripristinare i tanto temuti esami di riparazione settembrini di un tempo (ma che ne sanno le nuove generazioni!) e sperare che, nel caso specifico, con il prossimo disco, i nostri possano finalmente fare il salto di qualità definitivo!
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?