In periodi di diffuso
revival e saturazione di uscite discografiche è veramente difficile trovare dei motivi “validi” per indurre il
rockofilo al contatto con i
Sainted Sinners, apparentemente l’ennesimo gruppo che trae pesante ispirazione da Led Zeppelin, Deep Purple, Van Halen, Whitesnake, Scorpions e Rainbow.
Proviamoci lo stesso, perché sono fermamente convinto che la
band in questione meriti una certa attenzione, in virtù di alcuni aspetti che andrò brevemente a elencare qui si seguito.
Innanzi tutto, partiamo dalle qualità tecniche … all’interno di una formazione altamente preparata in tutti i suoi effettivi, è immediato rilevare come un
Frank Pané e, soprattutto, un autentico protagonista della fonazione modulata del calibro di
Jack Meille non si trovino tanto facilmente nemmeno nel ricco panorama sonico contemporaneo.
E le mie valutazioni sul
vocalist dei Tygers Of Pan Tang non scaturiscono (almeno non solo …) da un’ammirazione che ha origini lontane (dai tempi dei Mantra) e risvolti “campanilistici” … la verità è che ritengo
Jacopo una delle migliori voci a livello internazionale nell’ambito dell’
hard n’ heavy “classico” ed è sufficiente ascoltare la sua interpretazione in “
Heart of stone” (una “roba” da far venire i brividi agli estimatori del miglior
David Coverdale) per rendersene conto.
Passando poi al valore delle composizioni, diciamo che “
Taste it” contiene una manciata di canzoni che pur non inventando davvero nulla e rivelando in maniera evidente le loro fonti ispirative primarie, suonano coinvolgenti e non fastidiosamente prevedibili, in un misto di divertimento, adrenalina e melodia (e non è questa, in fondo, per dirla alla maniera dei nostri, “
The essence of R’N’R”?) che “funziona”, apparendo sufficientemente variegato e meno forzato e artefatto di tante altre analoghe situazioni espressive.
Infine, un breve commento sulla disinvoltura di una formazione che non si preoccupa della smisurata competizione ed è tanto “sfacciata” da avventurarsi addirittura nella proposizione di una
cover di “
Losing my religion” dei R.E.M., tentando di adattarla al genere e piegandola al gusto espressivo di un chitarrista capace di condire di piccole gustose “intuizioni” (qui, per esempio, inserisce nel contesto sonoro una fugace divagazione
fusion ...) un canovaccio stilistico assolutamente consolidato.
A onor del vero, il
remake non è del tutto convincente, ma piace comunque il “coraggio” di uscire dal seminato e di mettersi alla prova nonostante l’elevato coefficiente di rischio.
Insomma, i
Sainted Sinners non sono dei fuoriclasse in fatto di creatività artistica e non nascondono la loro sconfinata passione per la “tradizione”, affrontata però con una maturità e una vitalità che finisce per distinguerli dalla massa. Vi ho persuaso a dar loro una
chance?
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