Allora, partiamo dall'inizio:
io adoro Magnus Karlsson. Adoro il modo in cui suona la chitarra (e non solo), con quel tocco shred ma melodicissimo, e mi piace un sacco il modo in cui scrive, per le mille incarnazioni della sua arte. E' uno dei pochi songwriters che, nell'ambito del metal/power, riesce a fondere la cattiveria con la melodia, ed ha davvero un orecchio molto allenato per il radio-friendly. Non è un mistero, quindi, perché la Frontiers se lo tenga ben stretto nel roster creativo.
Detto questo, il terzo album dei
The Ferrymen è, niente di più e niente di meno, quello che vi aspettereste. La voce di
Ronnie Romero a me non è mai piaciuta, troppo derivativa e troppo 'copiata' per me, anche se non posso non riconoscerne l'oggettivo valore tecnico, ed un timbro che fa l'amore con Jorn, Dio (je piacerebbe) e tutta quella pletora di cantanti aggressivi-ma-melodici che, tra l'altro, a me piacciono sempre molto, se non sono delle copie carbone.
Chiude il trio
Mike Terrana, un batterista che ODIO guardare, perché ha un bisogno di attenzioni che rasenta il patologico, ma che mi piace sempre ascoltare, perché, al netto delle sue sbrodolate da personaggio, 'ci tira dentro di brutto'. D'altronde, se il buon Mike è uno dei session più ingaggiati in ambito heavy/power, non sarà certo perché fa girare le bacchette o fa le facce da duro.
Ok Sbranf, hai finito col preambolo o dobbiamo aspettare altre 6000 parole prima di sapere qualcosa di sto disco?
Hai ragione, amico lettore. Scusa.
Dunque.
"
One more River to Cross" somiglia in tutto e per tutto ai suoi predecessori: belle canzoni, cariche e potenti, melodia veicolata dalla voce ruvida di Romero, una bella produzione ad opera di quel gentiluomo di
Simone Mularoni (mi devi un caffé), ed ecco servito un prodotto che, semplicemente, è costruito per non fallire. Al netto di questo, ci sento ispirazione, scintilla creativa, originalità, qualcosa che mi faccia girare la testa e ritornare indietro a risentire un passaggio?
NO. Sta a voi decidere se questo sia un pregio o un difetto.
"One More River to Cross", insomma, è come un piatto di spaghetti al pomodoro: buonissimi e non li cambierei per niente al mondo, ma, ecco, quello sono. Posso avere un po' di grana grattugiato, almeno?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?