L’epopea dei
Magnum continua in maniera ineffabile e imperterrita, immune al turbinare delle mode, prolungando un’esistenza musicale che, ormai giunta al cinquantesimo anno, si mantiene fedele a se stessa senza sprofondare negli effetti negativi della
routine.
Il giudizio su “
The monster roars” potrebbe tranquillamente finire per essere condensato nello
incipit di questa disamina, ma, approfondendo un minimo la questione, è doveroso anche aggiungere qualche considerazione critica di “contorno”.
Innanzi tutto, parliamo della copertina (curata da
Rob Barrow, fratello dell’ex bassista del gruppo
Al), “bruttina”, e di certo non paragonabile al glorioso connubio musica-immagine garantito, tanto per fare un nome, da un certo
Rodney Matthews.
Arrivando ai ben più importanti contenuti sonori dell’opera, pur senza smentire in nessun modo la valutazione iniziale, l’ascolto reiterato del disco denuncia appena un velo sottile di formalismo e di staticità compositiva, abilmente “mascherata” dalle straordinarie capacità espressive di musicisti capaci di superare indenni quella “prova del tempo” tanto insidiosa per la maggior parte degli appartenenti al genere umano.
Ci troviamo, così, di fronte a un’ora di musica fortemente evocativa, in cui la componente
pomposa e barocca è piuttosto “dominante”, pilotata dal duo
Catley/
Clarkin in forma smagliante e in cui il resto della
line-up appare tutt’altro che un manipolo di quotatissimi “gregari”.
In tal senso spendere un plauso particolare per la sensibilità esecutiva di
Rick Benton è ancora una volta assolutamente necessario, così come indicare nella
title-track, “
Remember”, "
Your blood is violence”, “
Come holy men” e “
Can't buy yourself heaven”, le circostanze guida, per splendente tensione comunicativa ed emotiva, di un programma comunque privo di autentici momenti inopportuni.
Riserviamo, infine, due parole per la melodrammatica "
Walk the silent hours”, perfetta per esaltare le formidabili capacità di narratore di
Catley, e per “
The present not the past”, che a partire dal titolo, riflette l’atavica volontà dei
Magnum di rendere l’aristocratica opulenza del loro suono una materia immediata e accattivante, adatta anche a tempi in cui le “storiche” regole del
rock sono tornate in auge.
“
The monster roars”, analogamente a quanto spesso accade quando ci si trova di fronte al lavoro di “veterani” di questo calibro, offre ai fedeli
fans dei
Magnum qualche spunto di riflessione e taluni motivi di disputa comparativa, giungendo tuttavia alla conclusione che musicisti di questa statura non si possono snobbare, rappresentando un invidiabile modello di carisma e di “tenuta” artistica di cui,
ahimè, temo si sia persa la matrice.
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