Signore e signori, vi presento
Andy A. Sartori, funambolico chitarrista di chiara, chiarissima, trasparente, inappuntabile matrice
Malmsteen, nato in Brasile ma con origini italiane, e stanziatosi alfine in terra di Biden. E adesso, giochiamo alle somiglianze:
- una band che porta il suo nome
- una copertina (brutta) che sembra una di quelle del Maestro
- titoli delle canzoni che parlano di draghi, diavoli, inferno, battaglie
- finanche il font gotico per logo e titolo
Insomma, il debut album "
Dragon's Fire" è una scopiazzata cla-mo-ro-sa di un qualsiasi album dell'epoca d'oro (Trilogy e dintorni) di Inguine J. Tutto, a partire dalla voce di
Scott Board, che sembra Mark Boals (ma con tuuuuuuuuutto il rispetto e le proporzioni!), alla sezione ritmica a mille all'ora, al basso sempre all'unisono con i fulmineggianti riff del Maestro, che praticamente ripropone lo stesso assolo per quasi tutti i trenta minuti dell'album. Stessi lick, stesse due scale, a volte usate in maniera errata ossia fuori tonalità, uno sbrodolare a seicento all'ora ed una produzione appena sufficiente, et voila! Avete confezionato l'album-fotocopia sbiadita.
Imbarazzante in certi momenti, "
Dragon's Fire" ha un paio di guizzi, come la title track posta alla fine e qualche momento più carino e meno 'sborone', ma qui siamo davvero come quando andate alla festa dell'Unità e in cartellone ci sono i Gipsy KinDs, che se non leggi bene ti sembrano gli originali, e invece. Che poi, anche gli originali... Ma sto divagando.
Insomma, caro Andy Sartori: per me è no.
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