In ambito rockblues i Foghat sono una assoluta leggenda. Nati nel 1971, quando Roger Earl (tutt'ora presente in formazione) ed il compianto Dave "Lonesome" Peverett (scomparso nel 2000) lasciano gli storici Savoy Brown, nella loro immensa carriera hanno collezionato otto dischi d'oro, uno di platino ed un doppio album di platino. I londinesi vantano sedici album in studio, una decina di live ed innumerevoli raccolte antologiche, ma certamente il loro periodo più splendente si colloca tra il 1972 (uscita del debutto omonimo) ed il 1977 ("Foghat live", due milioni di copie vendute). Negli anni '80, come è accaduto a tante altre bands dei gloriosi seventies, comincia il declino dovuto all'esplosione di altri stili di musica rock. Ma la formazione ha sempre tenuto duro, sostenuta da una crew di fans irriducibili, trovando nuovo smalto in lavori come "Return of the boogie man" (1994) e "Road cases" (1998). La scomparsa del fondatore Peverett è stato un altro duro colpo compensato successivamente dall'ingresso del cantante/chitarrista Charlie Huhn, il quale ha trasmesso nuova linfa vitale e rinnovato entusiasmo fino a "Under the influence" del 2016.
Adesso esce un nuovo live, "8 days on the road", registrato poco prima del lockdown pandemico al Daryl's Club di Pawling, New York (novembre 2019), dove i Foghat ripropongono con brio e brillantezza tutti gli hit di maggior successo. Il rock-blues degli inglesi è schietto e diretto, energico e vitalizzante, con le componenti hard e catchy assai più marcate ed americane rispetto alla classica scuola nazionale di Cream, Ten Years After o primi Led Zeppelin. Non per niente agli esordi si trasferirono negli Stati Uniti firmando per la Bearsville Records di Albert Grossman, il manager di nomi come Bob Dylan, Janis Joplin, Todd Rundgren, Gordon Lightfoot.
Con questo doppio cd (anche versione Dvd) possiamo vibrare grazie all'irresistibile boogie di "I just wanna make love to you", cover della canzone di Willie Dixon qui dilatata in monstre-version di oltre nove minuti con duetti chitarristici da urlo, così come entusiasmarci riascoltando capolavori senza tempo come "Drivin' wheel", "Road fever", "Fool for the city" o la monumentale "Slow ride" (il loro singolo per eccellenza). La voce di Huhn (già negli Humble Pie) in certi momenti evoca le calde vibrazioni funky del totem Glenn Hughes, mentre il solismo di Bryan Bassett (Wild Cherry, Molly Hatchet) possiede quel cipiglio da rocker d'annata che non può non scatenare ventate nostalgiche negli appassionati vetusti come il sottoscritto. Menzione speciale per il drummer Roger Earl, che alla veneranda età di 75 anni (nato il 16 maggio 1946) picchia ancora con un dinamismo ed una precisione stupefacente. Se questa non è dedizione incrollabile ad uno stile musicale, non saprei come definirla.

Un'ora e mezza di trascinante groove-bluesy-rock, denso ed orecchiabile, torrido e tecnicamente ineccepibile, con alcuni momenti di pura estasi storico-musicale. Se non conoscete i Foghat, questo live vi permetterà di godere appieno l'indiscutibile qualità del gruppo. Se li conoscete, è ovviamente da avere.