Lo ammetto … dopo l’esaltazione dettata dall’ascolto di “
Rock the highway”, mi aspettavo molto di più da “
Hail to the heroes”, l’albo con cui i
Girish And The Chronicles approdano alla nobile corte della
Frontiers Music.
E non è perché oggi gli indiani tendono ad enfatizzare la componente aggressiva del loro suono, o perché tentano di “aggiornare” l’
hair metal ottantiano (e
novantiano, pure) con appena un pizzico di attitudine attualizzata.
Tali suggestioni sarebbero assolutamente bene accette se poi tutti i pezzi fossero veramente ispirati e quella veemente intensità che contraddistingue la
band fosse stata incanalata, come avvenuto nel lavoro precedente, in un flusso emozionale pienamente euforizzante.
Qui invece qualcosa non deve aver funzionato in maniera perfetta, e se la valutazione complessiva sull’opera è comunque piuttosto positiva, appare chiaro quanto fossero elevate le aspettative che nutrivo per questi nuovi “eroi” della scena
hard n’ heavy internazionale.
Eh già, perché
Girish Pradhan e i suoi
pards sono effettivamente diventati figure di spicco del
rockrama contemporaneo attraverso un riconoscimento pressoché unanime e del tutto meritato, in cui le loro ”anomale” origini geografiche non sono state per nulla un ostacolo (anzi, forse, almeno inizialmente, hanno rappresentato uno sprone alla curiosità del popolo dei
rockofili).
Tecnica, cultura,
feeling e carisma sono qualità senza dubbio insite nelle fibre artistiche del gruppo, convalidate anche da un
album che, come anticipato, le ripropone intatte sebbene avvolte da una leggera patina di formalismo, di esagerata irruenza e di diminuita freschezza espressiva.
Il disco esplode con la carica trascinante e veemente di “
Primeval desire”, “
Children of the night” e “
I'm not the devil”, tutta “roba” che piacerà a che considera Steelheart, Keel, Skid Row e Malice “maestri di musica” e non ama veder riprodotta in maniera fastidiosamente pedissequa la loro arte, ma personalmente per provare le prime vere “scosse” ho dovuto attendere “
Love's damnation” e “
Clearing the blur”, in cui l’incremento dell’impronta melodica supporta felicemente l’efficacia dei brani.
Buone vibrazioni le garantisce anche la vagamente Ratt-
iana “
Lover's train”, e se la scalciante “
Rock and roll Jack” è soltanto una competente ostentazione di viscerale tradizionalismo sonoro, con la pulsante
title-track del programma i
Girish And The Chronicles ritornano a dimostrare di appartenere alla categoria dei fuoriclasse del genere, capaci con “
Shamans of time” di mescolare con buongusto Led Zeppelin e Soundgarden, arrivando, nell’ombrosa e sinfonica “
Heaven's crying”, a evocare barlumi di Rainbow, Queensryche e Savatage.
“
Rock n' roll fever” (ospiti
Chris Adler e
Hugh B. Myrone, soci di
Pradhan nei Firstborne, e
Rowan Robertson) aggiunge un approccio
thrash-oso e modernizzato alle suggestioni soniche di “
Hail to the heroes”, una conferma, ma non priva di talune perplessità e riserve, delle grandi potenzialità dei
Girish And The Chronicles.
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