Ci sono gruppi che continuano a essere considerati, almeno nella mia ormai ottenebrata mente
rockofila, “emergenti”, forse perché nonostante la corposa carriera ho la sensazione non abbiano ancora raggiunto la piena maturazione espressiva.
I
degreed fanno parte della suddetta categoria, e rendersi conto che con “
Are you ready” gli svedesi sono giunti al sesto albo in studio, mi “costringe” a valutare l’opera senza quel pizzico di benevolenza che si concede alle formazioni inesperte, ancora in cerca di un percorso artistico definito e completo.
E allora diciamo che siamo probabilmente di fronte alla migliore prova discografica dei nostri, che la loro affannosa ricerca di una “sintesi” fra tradizione e modernità sembra più equilibrata che in passato e che ciononostante manca ancora quella personalità in grado di elevarli in maniera risolutiva al ruolo di veri protagonisti della scena melodica contemporanea.
Il programma appare così come un piacevolissimo
cocktail di spensieratezza, energia e ruffianeria, con un piccolo incremento nella grinta che potrebbe attrarre in maniera maggiormente decisiva anche gli estimatori di Eclipse, Leverage, H.E.A.T. e di certi Wig Wam.
L’apertura delle ostilità sonore in questo senso è piuttosto “impressionante” … “
Into the fire” irrompe con la sua adescante carica melodica e il coro “a presa rapida” mentre nella successiva “
Higher” il clima si addolcisce pur mantenendo intatta la forza seduttiva, in una felice combinazione di Bon Jovi, Harem Scarem e Brother Firetribe.
Arrivati a “
Feed the lie”, emerge la ben nota attitudine “attualizzata” dei
degreed, alle prese con una linea armonica “facilmente” d’impatto, che tenta con discreti risultati di ampliare il potenziale pubblico di riferimento, per una formula che la
band ripropone anche nel
groove possente di "
Burning”, e, in misura ancora più evidente, nella vagamente melensa “
Falling down” e nell’accattivante “
Turn back”, con taluni rimandi ai connazionali The Ark (quelli di “
It takes a fool to remain sane”) individuabili nell’impasto musicale.
L’approccio
anthemico di “
Radio”, qualcosa tra Eclipse,
Joan Jett e Def Leppard, certifica ulteriormente la volontà di trafiggere ed espugnare i sensi dell’ascoltatore fin dal primo contatto e se vi piacciono le divagazioni
funky anche la
title-track dell’
album ha i mezzi per attirare istantaneamente la vostra attenzione.
L’andamento cromato e pulsante di “
Lost in paradise” e “
We will win” rivela in modo inequivocabile l’origine scandinava di un gruppo che gli estimatori di
Erik Mårtensson & C. finiranno per apprezzare pure grazie a “
Desire”, una sciccheria “pericolosamente” vicina al perfetto bilanciamento tra le sue varie suggestioni espressive.
Alla fine, nonostante gli intriganti progressi, nemmeno “
Are you ready” è riuscito a farmi cambiare del tutto opinione sui
degreed, un competente manipolo di “diversamente emergenti” ancora attesi a un’effettiva e inappellabile prova di maturità.
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