Non nascondo che ho adorato alla follia 'H.E.A.T. II', sesto disco degli H.E.A.T. appunto uscito nel 2020. Melodie accattivanti, un grande affiatamento della band in generale, ma sopratutto per le vocals di
Erik Grönwall. Un cantante che mi aveva davvero colpito per le sue tonalità rabbiose e piene di energia, ma allo stesso tempo capace di attirare l'attenzione anche su linee molto melodiche. Quando ho scoperto che, dopo la sua dipartita dalla band nell'Ottobre dello stesso anno, avrebbe poi fatto parte del progetto
New Horizon, assieme al polistrumentista
Jona Tee, non nascondo che ero parecchio curioso all'ascolto.
Seppur la copertina ancora non mi convinca ancora molto, le premesse accanto a
'Gate Of The Gods' era molte. Da una parte come ampiamente detto, il sentire ancora l'ugola di
Erik, dall'altra affermazioni come il fatto che il disco era inizialmente pensato per avere vari ospiti nelle diverse canzoni, ma poi si è deciso di andare avanti con il solo
Grönwall, dato il suo sapersi adattare ai diversi stili.
Nonostante tutto questo hype fatto crescere attorno, devo però conludere che
'Gate Of The Gods' è quasi una mezza delusione. Con questo non voglio dire che i pezzi presenti siano brutti, siamo molto lontano dal dirlo, ma soltanto inoffensivi, sterili. Ciò che avevo, e trovo ancora affascinante di 'H.E.A.T. II' era il suo saper acchiappare con ritornelli apparentemente semplici, semplicità che però funzionava dannatamente bene. In questo album invece, come possiamo sentire ad esempio in
'Cry For Freedom' o
'Stronger Than Steel', si è scelto di puntare su riff molto pesanti e una via quasi Power Metal oriented, che in certi tratti mi ha ricordato un po' i Rhapsody, scelta che mette per gioco forza i chorus in secondo piano. Certo, qualche sprazzo di luce ogni tanto c'è, come nella lunga
'Call Of The Underground', ma quando ci si trova di fronte a un pezzo come
'The End Of It All' dove sembra si voglia scimiottare i Pretty Maids degli anni 80', o
'Fearless' che sembra uscita da un disco di Axel Rudi Pell, cadono un po' le braccia. Fortunatamente chiude bene la Titletrack, di ben 7 minuti, molto variegata al suo interno e che mostra un performance di
Grönwall davvero da 10 e lode, con un uso delle tastiere mai esagerato, ma funzionale.
'Gate Of The Gods' merita una bocciatura, quindi? No, ma lo scontento e un po' di insoddisfazione rimangono, nel sapere che un progetto con una tale caricatura poteva dare infinitamente meglio. Evidentemente sarà per la prossima.
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