Da diverso tempo l’OSDM è diventato un sottogenere a sé stante che vive e pulsa secondo regole che sono ormai andate oltre il concetto stesso di “codificazione”.
Fra la miriade di band che si cimentano nel genere capita ogni tanto di imbattersi in giovani virgulti chi emulano le gesta delle Divinità del Genere, ma in Personaggi che quel determinato periodo storico lo hanno contribuito a forgiare.
E’ il caso di Mr.
Dave Ingram – recentemente ritornato a graffiare coi
Benediction – che non pago nel prestare la propria opera nella già citata band inglese, nei
Down [Among The Dead Men ed
Echelon ha pensato bene (anzi aveva pensato bene visto che per vicissitudini legate al Coronavirus il presente lavoro è rimasto congelatore per più di due anni prima di essere pubblicato dalla
Trascneding Obscurity) di dare sfogo alla propria creatività con questo nuovo, internazionale, progetto OSDM dal nome
Hellfrost And Fire che vede coinvolti R
ick “Dennsi” DeMusis alle corde e
Travis Ruvo alle pelli.
“Fire, frost and hell” è uno di quei dischi che sai già dove finirà a parare senza che ci sia bisogno che termini il primo giro di lancette dell’orologio. Un elegante – si potrà dire elegante quando si parla di death metal? - mix in cui convergono influenze di
Bolt Thrower (fra l’altro band in cui militò
Dave Ingram ai tempi di
“Honour – valour –pride” ad inizio anni 2000),
Celtic Frost (i richiami alla band svizzera si intravedono già dalla copertina ) e, più in generale al death britannico per il forte richiamo groove, sì lineare ma dall’indubbio impatto, degli anni 90.
Non nego che tutto ciò sia decisamente “rassicurante” per l’ascoltatore che, durante lo scorrere dei minuti di “Fire, frost and hell”, si trova catapultato in territori a lui famigliari, consapevole che gli
Hellfrost And Fire non hanno la minima intenzione di portarlo al di fuori della propria comfort zone.
Tracce come “
Legion of hellfrost and fire”, “Meridian’s acquisition”, “The lost king and the heir apparent”, “A crown of conquest” sono coinvolgenti, dal forte impatto (eseguite dal vivo devono essere dirompenti) e con quel pizzico di ruffianeria dettato dall’esperienza del terzetto in cui emerge con prepotenza il gran lavoro di
Ruvo alla batteria.
Ciambella perfetta? Purtroppo no. Se ci poniamo dall’altra parte dello specchio, si notano che I limiti di
“Fire, frost and hell” stanno nella sua eccessiva prevedibilità, nell’eccesso di mestiere su cui il progetto poggia le fondamenta e nel suo esser destinato esclusivamente ad un pubblico di nicchia (non utilizzo il termine nostalgico in quanto potrebbe esser letto in chiave eccessivamente negativa) nato, svezzato e cresciuto nell’epopea del death britannico.
Sicuramente un buon modo per passare una quarantina di minuti senza troppi pensieri prima di tornare alle proprie occupazioni, ma nulla di più.
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