Oggi si parla tanto, in svariati settori musicali, di
revival degli anni ottanta, ma bisogna anche ricordare che ogni epoca successiva alla suddetta stagione aurea ha avuto i suoi paladini della versione “classica” degli incorruttibili dogmi del
rock, alcuni dei quali veramente molto preparati e incisivi, magari passati un po’ sottotraccia solo per la limitata considerazione del pubblico di riferimento, fatalmente “assorbito” da altre sonorità.
È quello che probabilmente è successo ai
Mecca, nati dall’incontro tra
Joe Vana e
Jim Peterik e autori nel 2002 di un debutto eponimo strepitoso, cui hanno preso parte importanti personalità della scena quali
David Hungate,
Shannon Forrest,
Jimmy Nichols,
Mike Aquino e (l’indimenticato)
Fergie Frederiksen.
Con il supporto di
Peterik in sede compositiva e il coinvolgimento della squillante ed espressiva voce di
Frederiksen, è abbastanza facile immaginare una sorta di fusione tra Survivor e Toto, e sebbene l’esito finale non sia poi troppo distante dalle previsioni, a entusiasmare è la maniera con cui i nostri trattano la materia, evitando fastidiosi afflati nostalgici e assemblando una deliziosa collezione di brani elegantemente e vivacemente “radiofonici”, irrorati da una tensione espressiva davvero spiccata.
Al risultato ha ovviamente contribuito anche l’ugola “educata” di
Vana, un perfetto contraltare del mitico
Fergie (ascoltateli duettare nella
sciccheria Survivor-
esque “
Without you” e nell’appassionata "
Can't stop love" …) con il quale edifica, alternandosi nella gestione microfonica, una formidabile alleanza nell’ambito della “fonazione modulata” produttrice di brividi.
Un albo pieno di canzoni straordinarie per raffinatezza, ispirazione e capacità comunicativa, difficili da impilare in un’eventuale graduatoria di merito, riducendo la menzione (per quanto mi riguarda, oltre alla già citata “
Without you”, considero “
Silence of the heart”, “
You still shock me”, la vagamente Sting-
iana title-track dell’opera, “
Wishing well” e la vellutata “
Falling down” autentiche perle di
rock melodico …) a una combattuta e umorale questione di gusto personale.
Nonostante la buona accoglienza (in particolare da parte della critica), bisogna attendere nove anni per sentire parlare nuovamente del gruppo, stavolta supportato, per la realizzazione di “
Undeniable”, da
Christian Wolff e dal blasonato “tuttofare” del genere
Tommy Denander. Il suono del disco diventa maggiormente levigato e forbito (per semplificare, si potrebbe dire più “
The seventh one” che “
Isolation” …) e se, oltre al sofisticato eclettismo dei Toto, vi piace l’approccio al
pop adulto dei Mr. Mister (soprattutto) e di certi Doobie Brothers, mescolato con barlumi del
prog mainstream degli Asia, sono certo apprezzerete ampiamente una scaletta ancora una volta priva di controindicazioni, ricca di momenti di pura voluttà
cardio-uditiva (“
Perfect world”, “
Ten lifetimes”, “
Life’s too short”, “
From the start”, la
Waite-esca “
Did it for love”, la sontuosa “
Closing time” e la grintosa “
W2W”)
Nel 2016, con la defezione di
Denander compensata dall’apporto di altri luminari del settore (
Pat Mastelotto e
Tony Levin, tra gli altri), arriva “
III”, sintonizzato in sostanza sulle medesime frequenze sonore del suo predecessore, rivolto a porre ulteriore enfasi sugli aspetti introspettivi della formula stilistica e indirizzato ancora una volta di far vibrare di soddisfazione i sensi degli
chic-rockers all’ascolto, sollecitati da un generoso assortimento di momenti di musica avvolgente, intima e ammaliante (“
Take my hand”, “
Gone”, “
Let it go”, la struggente “
A kiss on the wind” e “
Cry”, non lontanissima da certe cose di
Alan Parsons …).
Una
essenziale disamina a cui si è felicemente indotti dalla lodevole iniziativa della
Frontiers Music, la quale, in tempi frenetici, in cui si fa in fretta a dimenticarsi del “passato” (anche quello recente …) per passare a “bruciare” l’ennesima
new-sensation proposta da un mercato in piena stagflazione, viene incontro a tutti i “distratti” e offre loro una possibilità di riscatto con questo “
20 years” che raccoglie l’opera omnia dei
Mecca e li arricchisce di qualche intrigante chicca (a questo proposito ricordo anche “
The demos” licenziato dalla MelodicRock Records nel 2017) in forma di
bonus-track.
Un’occasione imperdibile, insomma, per scoprire (o, eventualmente riscoprire) il fervido spirito melodico di una delle coalizioni più emozionanti degli anni duemila, capace di cogliere il senso profondo di un suono che ha ampiamente dimostrato di possedere quelle qualità “superiori” necessarie per resistere all’usura del tempo, a dispetto di chi ancora lo considera qualcosa di anacronistico, ingenuo e banale.