Secondo album per i sardi
Loose Sutures, grandi appassionati di garage-fuzz, acid-rock, psichedelia seventies, punk'n'stoner e di un certo immaginario femminile molto anni '70.
Nel 2020 avevo recensito il loro debutto omonimo, ora li ritrovo più maturi ma altrettanto pungenti e decisi a trasmettere la densa raw-energy che è la loro caratteristica principale. In questo nuovo episodio i sassaresi spaziano ancora di più tra le coloriture di un sound tipicamente lo-fi, che combina in parti uguali reminiscenze tardo-60 con la tempra viscerale dei primi Hellacopters.
Ma non dimentichiamo la polvere del deserto e l'indole narcotica cannabinoide, che troviamo particolarmente presenti sia nel rarefatto psico-rock "
White vulture" (se gradite l'abbinamento danza-musica, c'è il video di una artista di pole dance che si esibisce con questo brano super-onirico), così come nel finale "
Death valley" (divisa in due parti) che sembra un pezzo dei Blue Cheer suonato dai Dead Meadow. Il tiro sferzante e torrido si trasforma in un trip da abbandono cosmico, roba da catalessi oppiacea.
Altro episodio assolutamente incantevole è la pigra e assolata "
Sunny cola", che pare una Desert Session suonata in Messico sotto gli effetti del peyote. Passo languido e narcolettico, semplicità e torbida eleganza, sabor latino e riffoni heavy-psych, un equilibrio intelligente e ben congegnato.
Non mancano ovviamente i classici brani garage punk, che rappresentano l'indole primaria dei nostri connazionali: "
Stupid boy", "
Last cry" o "
Superfast" possono essere un credibile incrocio tra i Gluecifer ed i Mondo Generator, per il tiro carico di urgenza e di grezza adrenalina. Però i
Loose Sutures riescono sempre ad immettere qualcosa di riconoscibile, di personale, partendo dalle vocals costantemente ispirate al lontano movimento punk per arrivare alla pulsante irruenza ritmica dello stoner contemporaneo. In questo senso una canzone come "
Mephisto rising" rappresenta davvero la miglior fotografia dell'operazione di ibridazione stilistica portata avanti dalla band.
C'è anche qualche eco di QotSA/Fatso Jetson nell'incedere vagamente robotico di "
Black Lips", immediata e catchy, così come si può riconoscere l'antica scuola acid-rock nell'hard-proto heavy di "
Animal house" con le sue distorsioni fuzz e gli assoli settantiani.
Senza strafare e con grande coerenza, la formazione italiana produce un bel quadro sonoro sospeso tra presente e passato. Un disco trasversale, che attraversa epoche storiche prelevandone alcuni elementi e li rielabora con la consapevolezza dei tempi attuali. Ruvidi ma altrettanto accessibili, i
Loose Sutures mi trasmettono la voglia di fare casino, di scuotere le vecchie ossa, di lasciarmi cullare dallo stordimento allucinogeno, in sostanza ciò che ci si aspetta da un bel disco rawk'n'roll con vibrazioni psichedeliche.
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