Se già da un po’ di tempo esiste una “scuola” nordeuropea di
hard melodico, capace di fornire una “risposta” perentoria ai capostipiti statunitensi, grande merito va ascritto ai
Treat, da annoverare tra i principali artefici di una formula espressiva che pur assorbendo tante suggestioni è diventata il
trademark di un certo modo di fare musica.
Una prassi artistica presa a “modello” da numerosi epigoni, molti dei quali impegnati a capitanare tuttora l’incessante invasione scandinava della “scena”, proprio al fianco di questi irriducibili protagonisti del settore.
Un preambolo necessario per introdurre il nuovo
album degli svedesi, sottolineando come “
The endgame” si collochi in una discografia fatta di continuità e brillantezza, capace di acquisire negli anni una maturità atta ad esaltare oltremodo un senso melodico innato e davvero esemplare.
Nasce, così, l’ennesima raccolta di scaltri
refrain, armonie avvolgenti non prive di mordente e cori catalizzanti, senza dimenticare di aggiungere all’impasto sonico dosi oculate di melodramma, saggiamente integrate in un programma che evita ad arte l’eccesso retorico.
Insomma, i
Treat di “
The endgame” sono certamente una
band esperta e consapevole, impeccabile sotto il profilo tecnico e che sebbene “riconoscibile” non ricicla in maniera fastidiosa se stessa e piazza, dopo la pulsante
opener dal titolo "
Freudian slip”, una "
Rabbit hole”, in grado di far provare intensi brividi di soddisfazione agli estimatori del
class-metal californiano.
Difficile, poi, non rimanere istantaneamente “contagiati” dal magnetismo ombroso di “
Sinbiosis” o non riconoscere nel tocco celtico e nel clima evocativo di “
Home of the brave” un potenziale “guanto di sfida” agli smaglianti discepoli Eclipse.
Chi predilige in particolare il lato più “drammatico” del gruppo gioirà durante l’ascolto di “
Both ends burning”, "
Wake me when It’s over”, "
Jesus from Hollywood", “
Dark to light” e dello sfarzoso epilogo “
To the end of love”, mentre quelli che preferiscono soluzioni maggiormente
anthemiche e immediate apprezzeranno "
Carolina reaper", un “attacco frontale” sensoriale di notevole efficacia.
Con la piacevole diversione vagamente Cheap Trick-
iana “
My parade” e il romanticismo elegiaco di ”
Magic” si esauriscono le notazioni su un disco che conferma e rinnova il ruolo primario dei
Treat nel
rockrama di riferimento, consolidando al contempo i nomi di
Robert Ernlund e
Anders Wikström nell’elenco dei musicisti eccezionali, troppo spesso non adeguatamente incensati.
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