E’ davvero emozionante notare come il seme della NWOBHM riesca, ancora oggi, a più di 40 anni di distanza dalle sue prime manifestazioni, a germogliare, dando luogo alla fioritura di una miriade di bands valide, provenienti da ogni parte del globo terrestre che, partendo dagli insegnamenti dei “padri fondatori”, continuano ad affermarsi, riscuotendo parecchi consensi sia tra i semplici appassionati, sia tra gli stessi addetti ai lavori
Sulla scia di questa spinta propulsiva soprannominata, a sua volta, “The New Wave Of Traditional Heavy Metal”, ecco arrivare, sempre dagli Stati Uniti, paese che ha recentemente dato i natali a tanti gruppi emergenti appartenenti alla suddetta corrente musicale, tra i quali ricordiamo Haunt, Visigoth, Silver Talon, Morgul Blade, Shadowland, Tower (tanto per citarne alcuni), un agguerrito terzetto, dotato di discrete potenzialità, da seguire con attenzione.
I
Virgin Idol, questo l’affascinante monicker della band in questione, esordiscono con l’album omonimo che si dimostra, sin dall’inizio, un lavoro robusto, pieno di buoni spunti e denso di atmosfere lugubri e maligne, enfatizzate da una produzione, tutt’altro che moderna, ma volutamente ovattata e compressa, per mettere in risalto l’anima oscura che caratterizza l’intero disco.
Analizzando il lavoro nel dettaglio, va subito rimarcato l’eccellente lavoro di
Scott Michaels alle chitarre, protagoniste di riffs e assoli che tessono trame assolutamente incisive, creando delle composizioni massicce e taglienti, da cui emerge, più tangibile che mai, la classica spontaneità scontrosa, tipica dello spirito genuino del “True Defender”, mentre la sezione ritmica, a cura di
Chris Reed (batteria) e
J.R Preston (basso) è finalizzata a irrobustire la compattezza dei brani, senza tuttavia strafare.
Le tracce affondano ovviamente le loro radici nella tradizione più classica, in particolare nei Judas Priest di Painkiller (basta ascoltare
Do It Again,
Heartshaker o semplicemente l’intro di batteria di
Satan’s Will), ma anche nella drammaticità dei King Diamond, non foss’altro per la voce sguaiata di
J.R Preston il quale tuttavia, non ha la classe, né la potenza e né, tantomeno, la teatralità di King Diamond, finendo talvolta per risultare irritante, nel suo incessante utilizzo del medesimo registro vocale.
I limiti del vocalist rappresentano probabilmente l’unico “neo” di questo lavoro e, per carità, non si tratta di una cosa di poco conto, difatti il giudizio finale avrebbe potuto essere molto più positivo con un altro singer dotato di una maggiore versatilità canora o se, in alternativa, il buon
Preston si fosse limitato semplicemente a suonare il suo basso.
Per il resto, dal punto di vista squisitamente strumentale, questo debutto regala all’ascoltatore una mezz'oretta veramente piacevole, in cui ci si può totalmente immergere in quel sound abrasivo e maligno che potrebbe ricordare, non solo le band citate sopra, ma anche sonorità vicine ai primi Venom e Bathory.
Insomma, se siete dei nostalgici di quei tempi andati e di quella musica, lasciate che le vostre orecchie vengano sverginate dall'esordio discografico dei
Virgin Idol!