Tornano i milanesi
Perpetual Fire con la loro nuova fatica discografica (la quarta della loro carriera) intitolata, specchio dei nostri tempi,
Virtual Eyes.
Il disco, edito per la nostrana
Wanikiya Record, ci propone un power metal nettamente più orientato sulla melodia, piuttosto che sull’epicità o sui tecnicismi degli esordi, quando i
Perpetual Fire cercavano di emulare le bands più in voga in quegli anni nel settore, Stratovarius e Rhapsody su tutte.
Oggi invece, la formazione lombarda ha ormai raggiunto una certa maturità artistica, potendo contare su un sound del tutto personale e consolidato, forte di più di 20 anni di carriera e anche di una line-up più che mai compatta che vede, accanto ai soliti
Steve Volta (chitarra),
Roby Beccalli (voce) e
Mark Zampetti (basso), l’ingresso di
Sergio Gasparini (batteria) e
Mauro Maffioli (tastiere).
Virtual Eyes è un lavoro gradevole in cui, man mano che le varie tracce ci vengono snocciolate, emergono tutte le diverse connotazioni dello stile attuale dei nostri, si passa dal power energico della opener
Never Fall e di
Death And Glory, ai neoclassicismi di
Stop, fino agli elementi progressivi dell’incalzante
Trust Yourself, raggiungendo poi l’apice compositivo del disco, con la strumentale e riuscitissima
Sirio, pezzo in cui chitarra e tastiere regalano attimi emozionanti, rendendosi protagoniste di fraseggi veramente pregevoli.
Ciò che tuttavia manca ai
Perpetual Fire odierni, è quella spontaneità e, di conseguenza, anche quella sana irruenza, degli esordi e questo è probabilmente l’inevitabile rovescio della medaglia di quella maturità artistica raggiunta dalla band, di cui si parlava precedentemente.
L’ultima fatica discografica dei Nostri, soprattutto se raffrontata col vigoroso debutto, ovvero "Endless World" dell'ormai lontano 2006, sembra suonare in maniera impietosamente più meccanica e distaccata, insomma, in parole povere, è figlia più della testa, che della pancia della band.
Il disco è privo di quella energia travolgente degli esordi, tanto che il sound di
Virtual Eyes talvolta, tende ad ammorbidirsi improvvisamente ed il classico power, che è sempre stato il marchio di fabbrica dei
Perpetual Fire, finisce spesso per tramutarsi in un melodic metal, non sempre convincente; si pensi a episodi come
Burn The Sky o
A Place In Heaven che, insieme all’acustica
Dunes, pur reggendosi su delle buone composizioni melodiche (quelle non mancano mai), fanno registrare un calo dell'intensità emotiva sprigionata dovuto, non solo ad un affievolimento della sezione ritmica, indubbiamente fin troppo regolare, ma anche a delle scelte melodiche azzardate ed eccessivamente zuccherose.
Detto questo però,
Virtual Eyes, seppur talvolta zoppicando leggermente, rimane un album piacevole ed è bene rimarcare che si tratta di un lavoro in cui i
Perpetual Fire dimostrano, una volta ancora, di avere una forte personalità, che emerge anche e soprattutto in virtù delle suddette rischiose direzioni stilistiche intraprese, scelte in piena consapevolezza e con autorevolezza, senza che queste debbano obbligatoriamente compiacere qualcuno in particolare, se non la band stessa ovviamente.