Gli anni '90 sono l'antitesi di tutto ciò che ha caratterizzato la decade prededente. L'hard rock nerboruto che sconfina nel metal, tra sonorità cazzute e melodie suadenti, non è più la gallina dalle uova d'oro. Diciamola tutta: dischi power decenti, a volte molto più che decenti, se ne trovano ancora. Per quanto riguarda gli epigoni di
Whitesnake,
Dio e compagnia cantante, bisogna armarsi del classico lanternino e di tanta, sana pazienza. Non ho nominato le band di
David Coverdale e del sommo
Ronnie James a caso, perché i
Lionsheart sono il perfetto melting pot tra gli autori di "
1987" e di "
Holy Diver". Forse più con l'omonimo lavoro omonimo datato 1992, visto che questo "
Pride In Tact" fa pendere maggiormente l'ago della bilancia artistica verso un "
Saints And Sinners" o uno "
Slide It In".
È un periodo in cui persino i titolari del "marchio" originario se la passano male, figuriamoci coloro che, per coerenza e/o passione, decidono di seguirne le gesta. La star dei Lionsheart è il corpulento vocalist
Steve Grimmet, uno con un passato illustre nei NWOBHM cult-heroes
Grim Reaper, grazie ad album importanti quali "
See You In Hell", "
Fear No Evil" e "
Rock You To Hell" a fare bella mostra nelle collezioni dei puristi. Senza dimenticare la fugace ma indimenticata presenza in seno ai thrashers inglesi
Onslaught, ed in particolare su quel "
In Search Of Sanity" che rimane ancora oggi un gioiellino di raffinata furia iconoclasta. Dimenticate tutto: "Pride In Tact" è probabilmente il CD che i fans dei Whitesnake Mark I, quelli più legati all'hard blueseggiante di "
Ready An' Willing" e "
Come An' Get It", avrebbero voluto ascoltare al posto di uno "
Slip Of The Tongue". Gusti, ovviamente: si può amare alla follia gli uni, senza per forza schifare gli altri, anche se solitamente la diplomazia non è la prerogativa dei followers di nomi così giganteschi (
Deep Purple docet).
Tornando a noi, l'unico brano riconducibile ai Dio è proprio la corazzata "
Deja-Vu", che apre le ostilità nel segno di una orgogliosa continuità stilistica nei confronti degli anthem più celebri del frontman italoamericano. Poi ci sono pezzi semplicemente fantastici come "
I Believe In Love" e "
Love Remains", in cui spunta l'hammond di
Graham Collett a sostenere la chitarra di
Ian Nash. La devozione di Grimmett all'intonazione del David Coverdale più verace è incredibile, e poco importa se si arriva ai limiti del plagio, perché due canzoni simili non avrebbero affatto sfigurato se fossero comparse in qualunque opera griffata Whitesnake. Stesso discorso per la ballad "
Pain My Heart", in cui Steve sciorina un mood dalle tinte soul che ci riporta direttamente ai primi passi post Deep Purple di "
Snakebite" e "
Trouble". L'innocenza della melodia portante è ben lontana dalla smaliziata attitudine delle varie "
Is This Love" e "
The Deeper The Love" ma, come suggerivo qualche riga sopra, i puristi non potranno che apprezzare un tale ripescaggio temporale. I Whitesnake di ultima generazione vengono invece relegati in "
Gods Of War", prossima alle iniezioni epiche di "
Wings Of The Storm", nel bruciante riffing di "
Something For Nothing", oppure nell'esercitazione di classe e pomposità intitolata "
Stronger Than Steel", assimilabile in qualche modo alla tenace regalità di "
Judgement Day".
Non si pensi comunque ad un album che vive di sola luce riflessa, perché il songwriting si assesta su livelli proibitivi per molte altre realtà, e non mi riferisco soltanto all'asfittica scena di metà anni 90, in cui l'hard rock classico sembra improvvisamente passato dalle stelle delle classifiche al ghetto di un genere destinato a qualche vecchio nostalgico rincoglionito. La cover sapientemente irrorata di elettricità di "
(Take A Little) Piece Of My Heart" (
Janis Joplin) si materializza nell'ennesimo pezzo di bravura di un Grimmett memorabile, per pathos, modulazione e credibilità, anche in situazioni apparentemente avulse dal contesto.
Dico apparentemente non a caso perché, a differenza di altri colleghi, i Lionsheart non si limitano a scimmiottare Mister Coverdale, ma puntano pure alle radici di un'artista che ne ha nutrito lo spropositato talento compositivo.